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Rai, un Report svela il livello basso di rappresentazione delle donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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FRANCESCO CARTAGetty Images

Di questi tempi la televisione pubblica non se la passa benissimo. Di scivoloni, infatti mamma Rai ne ha fatti parecchi ultimamente. Serve elencarli? Elenchiamoli: Amadeus che elogia le donne che fanno "un passo indietro", Detto Fatto che spiega al pubblico femminile come fare la spesa in modo sexy, uso della n-word, episodi di blackface (ora finalmente vietati), Alan Friedman che definisce Melania Trump "un'escort", storie di false accuse di stupro che spuntano fuori a scadenza regolare e, per finire, le pressioni sul discorso di Fedez pro Ddl Zan al concerto del primo maggio. Non un ottimo curriculum, insomma e infatti le proteste si sono fatte sentire con tanto di hashtag #cambieRai per chiedere una TV meno razzista. Diciamocelo, nel 2021 possiamo aspirare a qualcosa di meglio e ce lo conferma anche l'ultimo report sulla parità nella televisione pubblica italiana. I dati del 2019, infatti mostrano un quadro piuttosto sconfortante: la rappresentazione delle donne nella Rai è ben lontana dalla parità.

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Nel 2019 l'Osservatorio di Pavia aveva monitorato la situazione ed era emersa "una rappresentanza di genere complessivamente sbilanciata a favore degli uomini, che costituiscono il 63,7% delle 18.688 presenze registrate, contro il 36,3% di donne". Si tratta di uno squilibrio più qualitativo che quantitativo infatti, anche se alla conduzione dei programmi abbiamo una percentuale del 49,6% di donne - quindi prossima alla parità -

il grado di inclusione femminile varia a seconda dei generi e dei ruoli TV. Così, i programmi di Servizio, Intrattenimento, Cultura, Scienza, Ambiente e Attualità sono più bilanciati e inclusivi dei programmi di Approfondimento informativo e dei TG, popolati in 2 casi su 3 da uomini. Se andiamo a vedere i ruoli delle persone presenti in televisione, poi, sono dolori: i politici intervistati sono donne soltanto nel 18,1% dei casi, i portavoce nel 22% dei casi, tra gli esperti intervistati le donne sono il 24,8% e anche le numerose celebrità ospiti dei programmi, nella maggior parte dei casi uomini (66,9% contro il 33,1% di donne).

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A questo si aggiungono gli stereotipi: le donne in TV sono più giovani degli uomini in particolare se conduttrici o co-conduttrici, più spesso degli uomini hanno una presenza socialmente e professionalmente anonima o non esplicitata e più di frequente hanno il volto della madre e/o della casalinga (il 4,3% contro lo 0,9% degli uomini padri e/o casalinghi) o della studentessa (7,3% vs. 3,5%). Anche quando si parla di violenza di genere i dati non sono incoraggianti: l’indice di correttezza con cui vengono coperte le cronache o le narrazioni finzionali di femminicidi, molestie, stupri o altra forma di violenza contro le donne è fermo a +0,06% in un intervallo di valori compreso fra -1 e +1: un risultato positivo, ma solo poco più che sufficiente.

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Insomma, come fa presente il report è presente "una sotto-rappresentazione femminile che ha la sue radici nella storia della TV, italiana ma anche internazionale" e che risulta "certamente problematica, perché contribuisce a coltivare un immaginario collettivo non paritario e non pienamente inclusivo". Come fa notare Fanpage, però, visti gli ultimi sviluppi è improbabile che il report del 2020 (appena commissionato) mostrerà dei dati più incoraggianti. Il punto quindi sarebbe far seguire a questi report delle politiche serie per cambiare le cose perché difficilmente miglioreranno da sole. È tempo di impegnarsi per una TV più inclusiva e attenta ai diritti e al rispetto di tutti: a richiederlo sono i tempi che stanno (per fortuna) cambiando.

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