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L’infinita marcia del femminismo | L'HuffPost

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Quarant’anni fa, tra il 17 e 18 maggio del 1981, milioni di italiani e italiane si recarono a votare scegliendo, in un referendum, di mantenere intatta la legge 194 sull’aborto.

L’attivismo femminista, sorto per la rimozione degli ostacoli giuridici all’uguaglianza di genere e l’ottenimento del suffragio femminile, aveva allargato in quegli anni, anche in Italia, il dibattito intorno a questioni quali la sessualità, i diritti riproduttivi, la famiglia, il lavoro.

Pur in assenza di un’effettiva, completa attuazione del diritto all’IVG, anche se di fronte ad un necessario potenziamento della rete dei consultori pubblici e all’inaccettabile ritardo nell’inserimento sistematico di programmi di educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, dobbiamo a quell’impegno il diritto di scegliere per noi stesse, la consapevolezza che la pretesa di controllo sul corpo delle donne nasconde una radice di violenza.

Quell’impegno arriva fino a noi con un attivismo che oggi si muove sui social network, si diffonde su scala globale. Ma quali ragioni sostengono, nel nostro tempo, l’infinita marcia del femminismo? 

Una ragione di invisibilità.

Invisibili, il secondo libro di Caroline Criado Perez, muove l’analisi da uno dei molti divari tra uomo e donna: il gender data gap ovvero la mancanza di dati di genere per cui sappiamo un sacco di cose sulla storia, la salute, i bisogni dell’uomo mentre le donne rischiano l’invisibilità.

Se la temperatura in un ufficio è regolata sulla base di esigenze maschili, se sappiamo che nella preistoria gli uomini erano occupati nelle attività di caccia ma non è chiaro cosa occupasse le donne, è ingiusto ma non drammatico.

L’invisibilità può però costare anche la vita in un incidente su un’auto con dispositivi di sicurezza che non tengono conto della fisicità femminile. In un mondo a misura di maschio un attacco di cuore potrebbe non essere diagnosticato perché i sintomi sono considerati «atipici», perché il corpo delle donne non si conosce abbastanza.

A smuovere la sensibilità femminista vi è anche una ragione di disumanità, in un mondo in cui trentamila bambine ogni giorno sono costrette a matrimoni precoci, laddove la diseguaglianza educativa si traduce nella preclusione di qualunque opportunità di istruzione per le ragazze nate nei Paesi a più basso reddito. 

Un nuovo attivismo è necessario perché la cultura patriarcale non è sostenibile.

Si tratta della stessa cultura che sacrifica tutto sull’altare del capitale: territori, persone, diritti. Il patriarcato è anche un modello economico in cui in conta solo l’obiettivo a prescindere delle esternalità prodotte nel processo. Il femminismo è anche un’alternativa a questo capitalismo.

La lotta per la parità è urgente perché il divario di genere cresce.

Secondo il Globar Gender gap report del 2020 del World Economic Forum, l’Italia è, per divario di genere, settantesima su 153 Paesi. C’è poi una notizia peggiore, nel 2018 era al sessantaquattresimo posto.

Le dimensioni indagate per calcolare gli indici di classificazione spiegano nella realtà questo arretramento: realizzazione educativa, salute e tassi di sopravvivenza, partecipazione economica e opportunità nel mercato del lavoro, empowerment politico femminile.

La lotta femminista è doverosa per una ragione di rappresentanza.

La statistica insegna a ogni ragazza che in Italia è pari a zero la probabilità di diventare presidente della Repubblica o presidente del Consiglio dei ministri. Ed è anche per questo deficit di rappresentanza che la realtà ci consegna decenni di ritardo sulla parità salariale, sull’accesso a pari opportunità, pari diritti.

Le ragioni di un nuovo femminismo intrecciano ogni forma di oppressione, riconoscono una radice comune a razzismo, sessismo, omotransfobia, classismo, abilismo, compongono un mosaico intersezionale di voci e storie per raccontare e risolvere ogni disuguaglianza.

Le ragioni di un nuovo femminismo saldano in un’unica battaglia l’avanzamento dei diritti sociali, l’allargamento dei diritti civili per percorrere con i lavoratori, con gli invisibili, con i diversi quel progresso che dal margine conduce alla libertà.

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