“Libera di abortire”, la campagna per un aborto libero e sicuro per tutte
Anche se ufficialmente una campagna istituzionale contro l’aborto non esiste, ufficiosamente, le forze che vorrebbero un passo indietro su questo diritto, negli ultimi anni si sono moltiplicate e spesso trovano appoggio nella politica. Quarant’anni fa, precisamente il 17 e 18 maggio 1981, milioni di italiani si sono recati alle urne per esprimersi in difesa della 194, oggi la battaglia è più subdola: abbiamo una legge che anche se scritta nero su bianco, è spesso disattesa e a pagarne sono sempre le donne.
Nasce per questo “Libera di abortire”, un’iniziativa promossa da Radicali italiani, IVG ho abortito e sto benissimo, Non è un veleno e UAAR, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, i Giovani Democratici Abruzzo e Milano, Si Può Fare, TAKE… ACTION! e aperta a tutte le associazioni e alle persone convinte che non possano esistere intere strutture dove non si pratica l’aborto o che siano tollerate violenze psicofisiche senza che nessuno sia mai ritenuto responsabile. La campagna sarà lanciata ufficialmente venerdì 22 maggio a Roma.
«Ho abortito a settembre 2019 ed è andata malissimo», a parlare è Francesca Tolino, che sulle nostre pagine ha raccontato la sua storia di aborto e da allora ha deciso di ideare il progetto. Come negli anni ‘70 durante il percorso verso referendum sull’aborto, che vide in prima linea l’Espresso con la raccolta firme e con una delle copertine più discusse del settimanale, dal caso di Francesca nei mesi scorsi abbiamo lanciato la piattaforma In nome di tutte: uno spazio anonimo e sicuro in cui le donne hanno potuto raccontare le loro storie di aborti: sono state centinaia le storie giunte in redazione, voci che hanno confidato, denunciato e urlato le loro esperienze traumatiche piene di dolore, umiliazioni e solitudine.
“Libera di abortire” Infatti vuole anche superare lo stigma accompagna l’aborto e che spesso significa condanna, tabù e isolamento per le donne che vi ricorrono. «La mia testimonianza è la fotocopia di tantissime altre», aggiunge Francesca che si è vista violata anche nella sepoltura del suo feto. Un caso quello dei cimiteri dei feti che ha fatto il giro del mondo.
Cosa deve cambiare
La campagna chiede cambiamenti concreti e lo fa con un appello rivolto al Governo italiano, e in particolare al ministro della Salute Roberto Speranza. Favorire l’assunzione di medici non obiettori, meno finanziamenti alle regioni che non garantiscono le prestazioni (grazie alla creazione di un indicatore specifico che consideri i tempi di attesa, la possibilità di scelta tra aborto chirurgico e farmacologico ecc.), incentivare la telemedicina e obbligo di corsi di aggiornamento e formazione del personale sanitario (anche all’interno dei corsi universitari di ostetricia e ginecologia) sono alcuni dei temi toccati.
Ad oggi l’obiezione di coscienza infatti riguarda il 70% dei medici, ma anche gli anestesisti (46,3%) e il personale non medico (42,2%). Sul sito del Ministero della Salute poi mancano informazioni chiare su questa pratica: come avviene cosa comporta, i diritti della donna e i possibili pericoli e ostacoli a cui potrebbe venire incontro. Non esiste inoltre un elenco ufficiale delle strutture ospedaliere che praticano Ivg, un passaggio che rischia di far perdere tempo prezioso.
«La 194 risulta in molte delle sue parti violata, come l’articolo 9 che garantisce l’obiezione singola, ma vieta l’obiezione di struttura. Il ministero dovrebbe vigilare, ma questo non avviene. Una grave restrizione del diritto di autodeterminazione, come rilevato anche dal Consiglio d’Europa proprio che, qualche settimana fa, ha nuovamente bacchettato l’Italia», spiega Giulia Crivellini, avvocata e tesoriera Radicali Italiani. «La 194 contiene anche previsioni che andrebbero riviste, come alla cosiddetta “settimana di riflessione” prima dell’Ivg, un lascito di quel compromesso storico che fu la legge. Serve squarciare il velo di ipocrisia che c’è nel nostro paese su questo tema».
La campagna toccherà le dieci città italiane che più subiscono le conseguenze dei disservizi sull’aborto, grazie ai manifesti creati appositamente con le storie vere di chi ha scelto autonomamente e responsabilmente di accedere al servizio di Ivg. Per sostenere il progetto è stata creata anche una raccolta fondi online.