Miss Universo va alla guerra contro gli stereotipi
Dalla pace nel mondo alla guerra agli stereotipi. Ma che è, un concorso di bellezza, una sessione di test Invalsi o un editoriale di Repubblica?
Ha vinto un ingegnere, anzi, una ingegnera: si chiama Andrea Meza, ha 26 anni, è messicana e dal 16 maggio è anche Miss Universo. «México esto es para ti», ha gioito Meza come quella miss Mondo indiana («Questo è per te India») che nel 2017 l’aveva battuta in finale sognando un futuro da cardio-chirurgo in sala operatoria dopo la laurea in medicina, mica ancheggiando a Bollywood.
Sì perché anche Miss Universo, come tutte le donne mozzafiato di oggi, non sogna la coroncina per affermazione personale ma per affermare la sua personalità in una causa collettiva. Son vecchie le battute sulla “pace nel mondo”, ora le reginette di bellezza puntano alla assai più sfiancantissima “guerra agli stereotipi”.
Miss America plurilaureata
Tutto ha avuto inizio con Weinstein, l’hasthtag #byebyebikini che rottamava il due pezzi e il riscatto democratico della “bellezza interiore” per le strabelle fuori. Era il 2018 e Miss America discettava con i giudici di cultura e comprensione del ruolo di miss nella società. Da allora Miss America non avrebbe mai più sfilato in bikini, anzi, non avrebbe mai più sfilato. Perché Miss America – ci spiegò Gretchen Carlson, l’ex miss tornata alla ribalta nel 2016 per aver denunciato il potente ceo di Fox News Roger Ailes per molestie sessuali, assurta a boss del concorso – non è «una sfilata» ma «una competizione». E non sarebbe mai più stata eletta «in base all’aspetto fisico».
In capo a due anni quel bel clima da rutilante era dell’antisterotipo consegnava lo scettro di Miss America a una doppia laureata in biochimica e biologia. Una che mentre conseguiva il dottorato in farmacia alla Virginia Commonwealth University sognava appunto di «distruggere gli stereotipi». Il tutto lo ha spiegato armeggiando davanti alla giuria con camice da laboratorio, provette e ampolle per eseguire una decomposizione catalitica del perossido di idrogeno dal vivo per poi denunciare l’ecatombe americana da overdose di oppiacei.
Le Miss nere, Miss vincitrici morali
In mezzo, anno 2019, i titoli più ambiti erano andati alle veneri nere. Nera Miss America, la cantante d’opera Nia Imani Franklin. Nera Miss Mondo. E per Miss Mondo non intendiamo Miss Giamaica, aspirante medico, che quell’anno si è aggiudicata la corona, bensì Miss Nigeria, eletta all’unanimità “vincitrice morale del concorso” per aver festeggiato saltellando sul palco la vittoria della sua concorrente. «Nel 2020 quando un vostro amico o un’amica comincerà una nuova attività o avrà successo per qualcosa che è anche la vostra passione, siate la sua Miss Nigeria», recitavano le card diffuse sui social per celebrare «quest’Africa orgogliosa e consapevole che esce dai confini e dai cliché».
Nera anche Miss Universo, al secolo Zozibini Tunzi del Sud Africa, impegnata in un Bachelor of Technology, la prima a vincere, come hanno sottolineato tutti i giornali gridando alla rivoluzione dei diritti, con «i capelli corti e al naturale». «Sono cresciuta in un mondo dove una donna come me, con il mio tipo di pelle e con il mio tipo di capello, non sarebbe mai stata considerata bella. Penso che sia arrivato il momento del cambiamento». Applausi dai media durante l’edizione 2019 (il concorso del 2020 è saltato a causa della pandemia) anche per Miss Birmania Swe ZIn Htet, prima concorrente apertamente omosessuale di Miss Universo.
Miss transgender e Miss vegane
Ovviamente la strada alla causa Lgbtq era già stata spianata nell’edizione 2018, la madre di tutte le edizioni politicamente corrette dal MeToo (basti dire che la giuria era composta da sole donne). Tra le concorrenti – ops, “candidate” – al concorso di bellezza – ops, di “leadership”, “talento”, “capacità”, “intelligenza” – aveva partecipato allora anche Angela Ponce, prima candidata transgender e già incoronata Miss Spagna. Candidata amatissima perché «avere una vagina non mi ha trasformato in una donna, sono una donna, già prima della nascita, perché la mia identità è questa. Essere donna è un’identità, non importa se sei bianco, nero, se hai una vagina o hai un pene».
Insomma, arriviamo all’edizione 2021 e ad Andrea Meza, la ragazza di Chihuahua City, laureata in ingegneria del software, che ha sbaragliato una per una le altre 72 candidate a più bella del cosmo battendo in finale Miss Brasile e Miss Perù. Merito del suo curriculum di ingegnere, sì, ma anche di “modella vegana”, animalista, impegnata nella tutela dei diritti delle donne. Che è una pecetta super inclusiva e che mette tutti d’accordo.
Miss Stop Asian Hate e Miss Lgbtq
Mica come le colleghe di Singapore, Uruguay e Myanmar che stando alla Cnn avrebbero approfittato delle luci della ribalta e preso così sul serio questa cosa dei diritti per mandare messaggi un po’ troppo impegnati, addirittura “politici”. Dopo essersi infilata in un mega abito con i colori della bandiera di Singapore, la sua Miss ha pensato bene di dare le spalle alle telecamere mostrando la scritta sul vestito “Stop Asian Hate”. «Un inno contro il razzismo», ha commentato Vanity Fair, «non è solo un vestito, è uno statement e una protesta. Miss Uruguay ha invece sfoggiato un completo arcobaleno e un gonnellone in sostegno alle comunità Lgbtq col claim “Niente più odio, violenza, rifiuto, discriminazione”.
Miss Pray for Myanmar
Non ha usato un costume ma ha direttamente srotolato un cartello con la scritta “Pray for Myanmar” la Miss che a più riprese su Instagram aveva accusato la giunta militare di violazione dei diritti umani. E onorato i manifestanti contro il colpo di Stato come «eroi che hanno sacrificato la loro vita nella lotta per la libertà del nostro popolo». Sul palco ha denunciato la situazione politica e umanitaria del suo paese affermando che «ci stanno uccidendo come animali». Alla fine la giuria le ha consegnato la fascia di miglior costume nazionale.
Da Miss a Miss Linkedin
Molto meglio, politicamente corretto, inclusivo, impegnato, poco divisivo, il discorso di Miss ingegnera del software. Che ha detto che «la bellezza non sta solo nel nostro aspetto. Ma anche nell’anima, nello spirito e nel nostro comportamento». Ovazione. In quello che sembra sempre meno un concorso bensì una sessione di test Invalsi o un editoriale di Repubblica. Meza si è così aggiudicata un master in liberazione dai cliché e distruzione degli stereotipi. E anche quest’anno la fascia di Miss Linkedin interplanetaria (e va da sé del discrimine fondato sull’essere degne della rivoluzione culturale della “bellezza interiore”) è stata assegnata.