Afghanistan, le donne afghane hanno sempre meno accesso alle cure mediche, diminuiscono i fondi internazionali e aumenta la povertà
ROMA - Un rapporto di Human Rights Watch racconta un Afghanistan sempre più povero e cure mediche sempre più inaccessibili, soprattutto per donne e ragazze. Una situazione che potrebbe peggiorare nei prossimi mesi. Oggi, oltre il 60% delle donne vive in povertà. Gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro di tutte le truppe dal territorio afghano entro l’11 settembre 2021. È un annuncio carico di conseguenze, politiche certamente, ma anche pratiche. Ci saranno conseguenze sul sistema sanitario del Paese, che si regge in gran parte sulle donazioni straniere. Le donazioni hanno iniziato a scarseggiare già da qualche anno, e questo sta avendo un impatto negativo sulla vita e sulla salute di molte donne e ragazze afghane, che non riescono a curarsi adeguatamente. Lo rivela, appunto, un dossier di Human Rights Watch (HRW), “Vorrei avere quattro figli – se sopravviveremo qui in Afghanistan”. Sono state intervistate 34 donne, 18 lavoratori e lavoratrici in una struttura sanitaria di Kabul, 4 entità donatrici e vari esperti di organizzazioni internazionali.
Oltre il 60% delle donne afghane vive in povertà. I dati parlano di un sistema inaccessibile per la maggior parte delle cittadine afghane – secondo le stime, tra il 61-72% vive in povertà. Sono donne che hanno gravidanze indesiderate perché non hanno accesso alla contraccezione, e che rischiano di morire di parto o di partorire figli morti o che moriranno prematuramente, perché mancano cure pre e post-natali. Il report osserva come gli sforzi fatti negli ultimi vent’anni, dall’invasione statunitense dell’Afghanistan nel 2001, per sviluppare un sistema sanitario efficace ed accessibile abbiano dato alcuni importanti risultati ma siano rimasti insufficienti. Tra le conquiste ottenute c’è una sensibile diminuzione della mortalità materna e l’aumento delle cure prenatali, nonché l’introduzione di metodi contraccettivi. Tuttavia, l’accesso alla salute per donne e ragazze rimane scarso e ben al di sotto degli standard internazionali.
Sotto gli standard internazionali. In Afghanistan ci sono 4,6 dottori, infermieri e ostetriche ogni 10.000 persone. La soglia che definisce una “grave carenza” di personale medico è di 23 su 10.000 – secondo definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La mortalità materna è scesa dalle 1200 morti su 100.000 nascite nel 2002 a 638 su 100.000, un risultato dovuto in larga parte all’accesso ai servizi basilari di assistenza medica, come il parto assistito da personale qualificato. Ma si tratta comunque di un numero di morti molto alto, secondo l’UNICEF. Anche la mortalità infantile è alta: 47 decessi su 1000, contro la media mondiale di 28 su 1000. Inoltre, rimane altissima la quota di spose bambine: il 35% delle donne si sposa prima dei 18 anni e il 9% prima dei 15 anni.
Meno fondi internazionali. Circa il 75% del bilancio del governo afghano proviene da donatori internazionali – Stati Uniti, Unione Europea, Germania e Regno Unito in testa. Nel 2020 i contributi hanno subito una contrazione del 2,8%, in larga parte a causa della crisi innescata dalla pandemia. Se nel 2013 i paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) inviavano 141 milioni di dollari per la salute e l’assistenza della popolazione, nel 2019 il numero era sceso a 105 milioni di dollari. “Non possiamo fare a meno del supporto internazionale. Ci mancano le risorse per fare progressi immediati, figuriamoci per risollevare l’intero sistema sanitario. Abbiamo moltissime carenze ma siamo spinti verso l’autosufficienza”, dice a HRW Wahid Majrooh, Ministro facente funzione della Sanità pubblica afghano.
Partorire costa. “Non riceviamo medicine da parte del governo, non ci sono i soldi”, ha spiegato il primario di un ospedale pubblico ad HRW “I pazienti pensano che non vogliamo curarli. Sono persone molto povere”. Un parto cesareo presso un ospedale statale costa tra i 195 e i 260 dollari. Operazioni importanti costano 65 dollari. Quando arriva una partoriente, le danno la lista delle cose da acquistare in farmacia: guanti, garze, catetere, medicine. “Fino a cinque anni fa, i pazienti se la cavavano con 1,3 dollari. Adesso devono procurarsi tutto.”
Le aree rurali. I problemi riguardano anche il trasporto. Circa il 43% delle persone deve viaggiare per oltre mezz’ora per raggiungere l’ospedale più vicino, e spesso le cure mediche alla fine del viaggio sono di scarsa qualità. La situazione è ancora più drammatica nelle aree rurali lontane dalle città, isolate e quasi completamente sprovviste di personale sanitario e strutture mediche. E per raggiungere una struttura si devono attraversare zone di conflitto. “Non ci sono dottori dove vivo, a Ghorband”, afferma Shirin Gul, 65 anni. È un’area in mano ai Taliban: “Hanno bruciato le case, inclusa la mia, e rubato tutto quanto”. Shirin ha raggiunto Kabul, in ospedale le è stata rimossa una massa uterina di 2,5 kg.
I taliban e le donne. L’accesso alla salute è messo a repentaglio dai gruppi di taliban. Secondo l’OMS solo nel 2020 ben 3 milioni di persone sono state private dell’accesso alle cure essenziali a causa dei conflitti. A volte le donne sono l’obiettivo preciso di questi attacchi. Come dimenticare l’attacco (non rivendicato) del maggio 2020 al reparto maternità di un ospedale di Medici Senza Frontiere? 24 persone tra cui madri, gestanti, neonati, bambini e levatrici hanno perso la vita in uno dei peggiori attacchi mirati contro le donne che il paese ricordi. A seguito dell’attacco, MSF ha dovuto chiudere il reparto. “I taliban usano i centri sanitari come aree sicure”, ha raccontato ad HRW un ufficiale del governo. “I lavoratori non possono attraversare linee di conflitto perché vengono accusati di spionaggio. Ecco perché le aree rurali sono tagliate fuori”. I taliban in particolare ce l’hanno con il personale medico statale, mentre tollerano gli operatori privati. Anche per questo l’appoggio a ONG e operatori stranieri potrebbe aiutare a garantire l’accesso alla salute e la vita del personale medico.
“Una questione di vita o di morte”. “I donatori internazionali sono in attesa. Vogliono capire se il ritiro delle truppe straniere porterà all’espansione del controllo dei taliban nel Paese”, afferma Heather Barr, co-direttrice ad interim ad HRW della sezione sui diritti delle donne. “Ma non può essere una scusa per tagliare fondi per servizi essenziali, necessari proprio per garantire aiuto nelle aree di conflitto più instabili. Questi fondi per la salute sono una questione di vita o di morte. Se mancano, le donne muoiono” sintetizza Barr.