Modena, Camusso: «Non c’è lavoro senza diritti sociali Politiche di genere? Bisogna fare di più»
L’ex segretaria Camusso ha chiuso la giornata dedicata alle donne «Nel nostro Paese manca la volontà di affrontare i temi culturali»
l’intervista
alice benatti
Si è chiusa con l’intervento di Susanna Camusso, responsabile Politiche di genere della Cgil nazionale, la giornata “Donne, dal pensiero all’azione” dedicata ai diritti (conquistati e da conquistare) delle donne all’interno del programma di quattro giornate che il sindacato modenese ha messo in campo in occasione del suo 120° anniversario. Tanti i temi toccati dall’ex segretaria generale: dall’impatto della pandemia sul lavoro femminile al congedo di paternità (che già comincia a discriminare i giovani padri), dai pericoli dello smart working alle molestie sui luoghi di lavoro, dai limiti del Piano nazionale di ripresa e resilienza al ddl Zan. «Non avanzeremo sul terreno dei diritti del lavoro se i diritti sociali arretreranno - ha detto Camusso - perché non ci sono diritti che vanno bene e altri che non vanno bene, né una condizione per cui se tu hai dei diritti ma li tolgono ad altri, questo permette a te di stare meglio. Questo è il rovescio della motivazione che hanno usato per far fuori l’articolo 18».Partiamo dal congedo di paternità: ha detto che nelle aziende i giovani padri che stanno chiedendo i 10 giorni a cui hanno diritto si stanno già sentendo dire: “ma non ha una moglie?”…
«Comincia ad esistere una generazione di giovani padri che hanno un atteggiamento di maggiore condivisione rispetto alla cura dei figli e che quindi pensano giustamente di utilizzare i congedi, sentendosi dare queste risposte dalle aziende: “ma non hai una moglie?”, “ma lo sai vero che poi non fai più carriera?”. O che si sentono dire dai colleghi “ma come? Ci rovini la piazza”. Stanno ripercorrendo quel percorso di discriminazione che continua a riguardare le donne e non va bene, bisogna tornare al tema fondamentale: la natalità non è un fatto privato delle famiglie. Cominciamo a domandarci come mai nel nostro Paese c’è questo processo di denatalità, che tanto preoccupa. Tutto indica che c’è un disagio fatto di mercato del lavoro, servizi ma anche di cultura, che deve cominciare a riassumere maternità e paternità come una responsabilità sociale e non esclusivamente come un vincolo familiare privato».
Il Piano nazionale di ripresa e la resilienza stanzia 4,6 miliardi per il rafforzamento di nidi e scuole dell’infanzia. Come valuta la cifra?
«Sono pochi, parliamo di 3,6 miliardi per i nidi - il resto è tempo pieno e scuole dell’infanzia - che serviranno per muri, edifici e infrastrutture materiali. Io vorrei la certezza di altre risorse, che accompagnino questi soldi. Non possono essere nel Next generation Eu per vincoli europei, ma sono risorse che il nostro Paese deve immaginare affinché quei servizi funzionino. Dobbiamo fare un salto di qualità: i servizi educativi 0-6 non sono uno strumento per permettere alle donne di lavorare, ma una necessaria risposta ai bambini e alle bambine per la loro prospettiva di ridurre la povertà educativa e uscire da un ritardo sul terreno dell’istruzione e della socialità. Incominciamo a dire che ci occupiamo di loro, non che troviamo delle modalità per il lavoro delle donne. Inoltre quelle risorse sono comunque insufficienti perché arriveremmo con 20 anni di ritardo agli obiettivi di Lisbona, non mi sembra un grande record».
Prima ha detto che questo Piano non è stato pensato avendo in mente la complessità e quindi i diversi punti di vista. Torniamo su questo punto…
«In questo periodo c’è stato un grande movimento europeo e italiano - di donne, associazioni, organizzazioni - che ha fatto nascere tante proposte, rifiutando un versante vittimista e rassegnato ma progettando il futuro anche ripensando la funzione e il valore della cura. La sensazione è che i due governi che hanno messo mano al Pnrr abbiano sentito che c’era questo clima e ne abbiano utilizzato espressioni come “trasversalità delle politiche di genere” senza però essere in grado di tradurle, di costruire norme in funzione di quell’obiettivo. È scomparso, ad esempio, tutto il tema della costruzione di percorsi educativi rispetto agli stereotipi e ai pregiudizi e questo dimostra una scarsa volontà di affrontare il tema culturale nel nostro Paese». —
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