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Lo sport per un’autodeterminazione femminile

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Claudio Villa via Getty Images

Così come per molti – o tutti – gli ambiti di attività, anche nello sport la partecipazione e l’equa valorizzazione delle competenze delle donne non è mai stata scontata.

Prima escluse, poi relegate ad alcune discipline, ma soprattutto ingabbiate in una concezione di forza troppo spesso sinonimo di virilità e in continue richieste di performance basate su canoni maschili.

Nel 1922 a Parigi la Federazione Sportiva Femminile internazionale fu esclusa dalle moderne Olimpiadi di Pierre de Coubertin e organizzò i primi Giochi Olimpici Femminili.  Il mondo è cambiato da quando nel 1928 i Giochi Olimpici, dopo quel precedente, aprirono le porte alle atlete internazionali, eppure, a distanza di un secolo, i meccanismi di esclusione nel mondo dello sport rimangono, nel contesto professionistico e non, e i fatti di cronaca degli ultimi giorni parlano da soli.

Ricordiamo tutti l’estate 2019, l’ultima estate prima della pandemia, quando la nazionale maschile fu esclusa dai mondiali. In quel momento di isteria collettiva molte e molti di noi scoprirono che non solo esisteva la nazionale femminile di calcio, ma era anche fortissima.

Paradossalmente, solo grazie all’esclusione del settore maschile, le azzurre hanno avuto lo spazio e l’attenzione mediatica e popolare che meritavano. Le ottime performance e queste circostanze hanno riaperto in Italia il dibattito sul professionismo femminile nel calcio e, in generale, su un mondo dello sport ancora declinato al maschile. Le regole, le parole, le immagini, la valutazione.

Forse ciò che più spaventa della partecipazione femminile al mondo sportivo è che le atlete sfuggono al rigido controllo sui corpi delle donne che la società continua a voler imporre, le atlete corrono veloci, sanno difendersi da sole, sono in competizione. Si arrabbiano, sono ambiziose, vincono. E tutto questo non rientra esattamente nella narrazione che le bambine ricevono da piccole: sii docile, delicata, non sporcarti, stai composta.

E invece no, noi vogliamo scatenarci. Fuori dalle catene degli stereotipi e di un’educazione che ci vorrebbe sempre controllabili.

Penso a Sara Gama, la capitana della nazionale femminile di calcio, lo sport a più alto contenuto di testosterone nel nostro Paese. Sara e le sue compagne hanno messo in discussione gli schemi, ma soprattutto hanno dato nuovi modelli.

L’approvazione della legge sulla parità salariale da parte del Consiglio regionale del Lazio ci sprona a essere ambiziosi e proseguire nel cammino per rimuovere ogni forma di disparità e disuguaglianza di genere nei diversi settori della vita della nostra comunità. Per questo ho depositato una legge specificatamente volta a costituire una Carta dei diritti delle donne nello sport e di un piano annuale di interventi per prevenire abusi, contrastare discriminazioni e soprattutto valorizzare la presenza femminile in tutte le discipline e a tutti i livelli.

Un percorso importante che faremo insieme alle federazioni e alle associazioni sportive e che dobbiamo alle tante bambine che vogliono essere libere e forti, correre veloci, sporcarsi con il fango, mettersi alla prova all’insegna della disciplina e dei valori che lo sport trasmette come strumento educativo, oltre che nelle singole discipline atletiche. Lo sport come pratica collettiva, di autodeterminazione, di cura della comunità, di contrasto alla marginalità. Lo sport come strumento della nuova alleanza tra uomini e donne.

Come sempre è un piccolo passo che deve accompagnare un cambiamento culturale che dobbiamo a tutte le bambine che vogliono sporcarsi con il fango, vogliono correre libere e sognare in grande. Senza limiti. E lo dobbiamo fare affinché non succeda quello che è successo a Lara Lugli, la giocatrice del Volley Pordenone licenziata dopo essere rimasta incinta. Quello che è successo ad Aurora Leone, cacciata da una competizione calcistica di volontariato solo perché donna. E quello che succede a migliaia di atlete nel silenzio che vorrebbero solo essere libere di fare ciò che amano, con passione e vedendosi riconosciuti il valore. Il valore che meritano.

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