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le linee guida di Brindisi

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

imageDall’emissione, nel marzo 2017, da parte del tribunale di Brindisi di proprie linee guida(testo in calce) sono trascorsi oramai circa quattro anni, che ne hanno permesso la sperimentazione e che le hanno messe a confronto con la giurisprudenza di altri Fori e con iniziative in parte simili. Il gruppo di lavoro che allora le elaborò (D.ssa Fiorella Palazzo, Avv. Mariella Fanuli e Prof. Marino Maglietta) ha quindi ritenuto opportuno integrarne la documentazione mettendo a disposizione degli operatori del diritto di famiglia un facsimile di ricorso (utilizzabile per   separazioni sia consensuali che giudiziali), sottoscritto dal Presidente del Tribunale e dai giudici della sezione, che ne semplifica il lavoro confermando il precedente orientamento e sviluppando ulteriori avanzamenti, che prendono a fondamento i principi allora enunciati; come qui illustrato.

Un ulteriore strumento di semplificazione e facilitazione al fine del raggiungimento di accordi è rappresentato dal Piano Genitoriale (PG) adottato dalla Camera Civile di Brindisi, la cui considerazione e redazione è pure raccomandata anche nel caso di iniziative unilaterali, potendosi in tal modo affrontare e illustrare più compiutamente il punto di vista della parte su ogni aspetto di rilievo nella vita dei figli. Il PG rappresenta, pertanto, utile parte integrativa del sopra citato ricorso.

Basi giuridiche e aspetti qualificanti

Alla base di quelle scelte come delle attuali sono stati, anzitutto, i principi enunciati al primo comma dell’art. 337 ter c.c., che riconoscono ai figli minorenni di genitori separati il diritto indisponibile di avere con ciascuno di essi un rapporto “equilibrato e continuativo” e di ricevere anzitutto “cura” da ciascuno di essi, entrambi affidatari a pieno titolo e senza alcuna differenza qualitativa giuridicamente apprezzabile. Dunque non “tendenzialmente equilibrato e continuativo” e neppure soltanto “significativo” - termine che caratterizza il rapporto con gli ascendenti, sul quale invece spesso ripiega per il non collocatario la giurisprudenza di legittimità. Così come ciascuno dei genitori dovrà assumere una propria parte di responsabilità dirette e compiti di cura, comprensivi degli aspetti economici, possibilmente equivalenti a quelli dell’altro. In altre parole, la regola, il punto di partenza di qualsiasi provvedimento dovrà considerare prioritariamente l’ipotesi della pariteticità teorica e pratica dei genitori, dalla quale allontanarsi solo motivatamente, per oggettivi impedimenti, opzione fortemente sottolineata nel facsimile definendo l’uguale tempistica come forma principale e ordinaria della frequentazione. Una presenza dei genitori, conviene aggiungere, che coerentemente sottintende l’assunzione per entrambi di adeguati compiti di cura, ovvero alla inammissibilità di accordi che ne prevedano l’assenza, in mancanza di ragionevoli e documentati impedimenti.

Segue immediatamente dalla paritetica investitura che, allo stesso modo, la forma principale e ordinaria del mantenimento è necessariamente quella diretta (v. oltre) - ugualmente evidenziata nel facsimile - alla quale del resto il testo normativo dedica esplicitamente il comma IV dell’art. 337 ter c.c.

Inoltre, come accennato, si ritiene opportuno - ai fini sia dell’utilità per i genitori in disaccordo di un momento di riflessione che per facilitare il lavoro del giudice e abbreviare i tempi della decisione -  che ogni coppia in disaccordo presenti al giudice un Piano Genitoriale, redatto con l’ausilio di un operatore specializzato, congiuntamente o disgiuntamente, in linea con il dettato normativo. Fermo restando che il suggerimento resta valido anche nel caso che non ci sia interesse per una soluzione concordata, potendo in tal caso il PG essere compilato con l’assistenza del proprio difensore.

Infine, appare opportuno dedicare particolare attenzione anche alla rappresentanza del minore nei procedimenti “de potestate” che cadano sotto la competenza del Tribunale civile, procedendo ordinariamente alla nomina di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 c.p.c. (v. anche Cass. 28723/2020).

Il mantenimento direttoe le “spese straordinarie”

Esiste al momento una varietà di interpretazioni su ciò che si debba intendere per “mantenimento diretto”. Appare pertanto quanto mai opportuno precisare la lettura che il Tribunale di Brindisi ritiene di dover dedurre dalle prescrizioni normative, anche perché l’argomento è in stretta relazione con quello delle cosiddette “spese straordinarie” che, se non accuratamente definite, sono frequente fonte di contenzioso.

Allo scopo è utile sottolineare anzitutto che certamente con il mantenimento diretto non avverrà che gli obblighi di provvedere gravino tutti e solo sul “genitore collocatario”. Visto, se non altro, che questo non dovrebbe esistere, per quanto sopra detto. Il mantenimento diretto cambia il modo di contribuire, ma non esonera alcuno dal dovere di farlo. 

Non condivisa è pure la tesi secondo la quale il mantenimento è sempre diretto – e quindi rispettata la norma – perché il genitore “non collocatario” nutre direttamente i figli quando li ospita a casa sua esercitando il diritto di visita e perché l’assegno sarebbe quello perequativo previsto dal legislatore. Ciò perché se l’assegno è stabilito sempre non è più perequativo e - visto che l’alimentazione era fornita in parte da ciascun genitore anche in regime di affidamento esclusivo – se così fosse si sottrarrebbe alla riforma del 2006 il suo aspetto più qualificante.

Allo stesso modo non è considerata convincente la tesi che si realizzi il mantenimento diretto dando all’assegno il ruolo di costante a priori da versare a vantaggio del “genitore prevalente” a prescindere dal reddito (a dispetto del IV comma dell’art. 337 ter c.c.) e dividendo al 50% le cosiddette “spese straordinarie”.

In generale, infatti, tale metodo per tutte le spese che non è necessario concordare lascia indeterminato a chi spetti l’iniziativa di procedere per poi chiedere il rimborso (con evidente moltiplicarsi di contestazioni e di contenzioso); mentre poi, all’atto pratico, scivola verso la legittimazione del solo genitore collocatario, violando la sostanza stessa dell’affidamento condiviso, che prevede l’identico coinvolgimento dei due genitori.    

Altrettanto non convincente è considerata l’idea che in assenza di assegno si sta sicuramente realizzando il mantenimento diretto, mentre, se è previsto, il mantenimento è sicuramente indiretto. Tali circostanze, infatti, non costituiscono condizione né necessaria né sufficiente. Non è difficile pensarne esempi. Si può, tuttavia, affermare che se un protocollo si limita ad elencare le voci comprese nell’assegno e quelle escluse, inserendo tra quelle che chiama “straordinarie” voci di spesa già presenti in quel gruppo familiare o prevedibili, sta attuando sicuramente il mantenimento indiretto.

La forma diretta, in definitiva, non è caratterizzata dalla partecipazione di entrambi i genitori agli esborsi, ma agli aspetti relazionali, alla decisione della utilità di una spesa e del concreto procedere ad esso, magari effettuandola con i figli.   

Valenza relazionale del mantenimento diretto e sua attuazione

Ed è in questo passaggio, in questa concreta presenza, che emerge la vera sostanza del mantenimento diretto, ovvero l’aspetto che collega quella modalità all’essenza stessa dell’affidamento condiviso come pensato dal legislatore: la funzione educante e accudente rimessa ad entrambi i genitori, non a caso entrambi affidatari e totalmente intercambiabili, e la mancanza – per deliberata cancellazione dal codice - di differenze strutturali, di ruolo, tra di essi. In altre parole, non si realizza e non si rispetta il diritto dei figli alla bigenitorialità se, in assenza di motivi ostativi – o addirittura in partenza - si afferma la prevalenza di un genitore nel provvedere ai bisogni dei figli, utilizzando il denaro a lui trasferito dall’altro, il cui ruolo resta del tutto secondario e marginale. Non a caso qualcuno (Bruno De Filippis, coinvolto in prima persona nella nascita dell’affidamento condiviso) affermò a suo tempo che il mantenimento diretto sta all’affidamento condiviso come l’assegno sta all’affidamento monogenitoriale. Se educazione e cura sono rimesse essenzialmente nella mani di un genitore “prevalente”, questi avrà necessità di avere in mano il denaro necessario a soddisfare i loro bisogni. Solo che la riforma del 2006 ha previsto l'opposto, visto che l’art. 337 ter c.c. attribuisce, al suo primo comma, ad entrambi i genitori, simmetricamente e senza gerarchie, il dovere di prendersi cura dei figli, in corrispondenza con un indisponibile diritto di questi ultimi. E la cura, inevitabilmente, comporta anche oneri economici. Quindi il primo comma dell’art. 337 ter c.c. anticipa quanto puntualmente affermato al comma quarto, ovvero che ciascuno dei genitori (notare la scelta del pronome che evidenzia l’indipendenza dell’uno dall’altro) provvede ai bisogni dei figli in misura proporzionale al reddito (salvo accordi diversi sull’entità del contributo), potendosi ricorrere alla forma indiretta solo ove indispensabile per rispettare la suddetta proporzione.  In concreto le parti, congiuntamente o separatamente, dovranno elencare gli attuali – o prevedibili – bisogni dei figli e attribuirne la copertura all’uno o all’altro rispettando la proporzione tra oneri e risorse. Al momento in cui si verificherà la necessità di spese impreviste queste verranno decise secondo le tradizionali modalità indicate, ad es., nel Protocollo dell’UNCM e ripartite anch’esse in proporzione del reddito.

In definitiva, dunque, il mantenimento è diretto quando ciascuno dei genitori assume equilibratamente la sua parte di compiti di cura comprensivi della parte economica, e non può esserlo quando uno dei due debba limitarsi all’ospitalità nei ridotti tempi in cui esercita il fittizio e artificioso “diritto di visita”, per rimborsare quello “prevalente” quando questi decide, senza accordo e magari senza neppure preavviso, di procedere nei modi e nei tempi che meglio crede ad investimenti perfino nell’ambito delle decisioni principali (Cass. 2127/2016).

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Motivi di equità e opportunità di natura sociale

Accanto alle considerazioni tecniche sopra svolte rilevano valutazioni e motivi di equità sociale, relative alla penalizzazione tuttora sofferta dal genere femminile, anche in conseguenza del persistente maggiore sacrificio richiesto nella cura dei figli. Se può essere superiore alle risorse del giudice intervenire in generale nel costume sociale, perché non sollevarne la madre almeno quando, dopo la fine della convivenza, c’è la possibilità di farle godere di effettive “pari opportunità” condividendo con il padre responsabilità e impegni?  In effetti, riflettendo sui lavori preparatori della riforma del 2006, e in particolare sul suo testo base (pdl 66 della XIV Legislatura, depositata il 30 maggio 2001), si legge nella relativa relazione di accompagnamento: “In sostanza, quindi, l’affidamento a un solo genitore, ben lungi dal privilegiare gli interessi del minore, …, si dimostra funzionale e perfettamente, solo agli interessi di padri poco consapevoli e responsabili, che chiudendo i rapporti con l’ex-coniuge pensano di non avere più altro dovere verso i figli che la corresponsione di un assegno”. Una preoccupazione alla quale l’affidamento condiviso intendeva dare risposta, non a caso ispirandosi alla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione

nei confronti della donna, fatta a New York il 18 dicembre 1979, (ugualmente citata nella relazione), secondo la quale - sottolineato che uomini e donne hanno responsabilita` comuni nella cura di allevare i figli e di assicurare il loro sviluppo - è auspicabile “l’impegno degli Stati firmatari perché siano assicurati agli uomini e alle donne « gli stessi diritti e le stesse responsabilita` come genitori, indipendentemente dalla situazione matrimoniale, nelle questioni che si riferiscono ai figli » (articolo 16, comma 1, lettera a)), concetti, oltre tutto, ribaditi dal documento conclusivo della IV Conferenza mondiale sulle donne (Pechino, 1995)”.

Ricadute necessarie e coerenti

Dalla impostazione che precede, ovvero dallo sforzo di aderire più strettamente possibile alle prescrizioni di legge - mirate alla tutela del miglior interesse dei figli, al suo diritto alla bigenitorialità e al contenimento del conflitto tra i genitori, sicuramente raggiungibile con minor fatica fondando il nuovo assetto familiare sui principi dell’equilibrio, dell’equità e delle pari responsabilità e dignità - segue necessariamente una serie di scelte in ambiti direttamente collegati o strettamente affini, che verranno di seguito illustrate, nella convinzione che la lettura suggerita possa risultare utile, al di là del livello locale, a quanti hanno il compito di avanzare richieste o di condurre trattative.

Il Piano Genitoriale – Si è già accennato all’efficacia di una sua preliminare redazione e presentazione in giudizio, sia congiunta che individuale. Questa è pertanto decisamente consigliabile. Esistendone in circolazione ormai una varietà, atteso il suo collegamento con la Coordinazione Genitoriale che si va sempre più diffondendo e sulla quale esistono differenti scuole di pensiero, può sicuramente giovare disporre di una versione perfettamente coerente con gli orientamenti generali rappresentati nel facsimile di ricorso adottato del Tribunale di Brindisi.

Compiti di cura e capitoli di spesa. Sia il facsimile di ricorso che il Piano Genitoriale presuppongono prioritariamente una contribuzione diretta al mantenimento dei figli. A tal fine, per evitare il rischio di non prendere in considerazione, per banale dimenticanza, qualcuno dei già esistenti bisogni dei figli, si suggerisce che ciascuno dichiari quali compiti e oneri intende assumere lasciando all’altro, per differenza, tutti gli altri.

Esiste per altro una fattispecie che può ingenerare confusione con il mantenimento indiretto. Si tratta delle situazioni in cui il mantenimento diretto è reso possibile dalla introduzione di una assegno perequativo. Si pensi, ad es., ad una famiglia monoreddito, ove entrano risorse solo da parte del padre (2000,00 € mensili), mentre la madre è casalinga. Ammettiamo che il figlio costi complessivamente 600,00 € al mese. Regolati a parte i rapporti tra i coniugi, il padre corrisponderà alla madre 300,00 € al mese in modo che possano esserle attribuiti capitoli di spesa per la medesima cifra, coprendo il padre direttamente le necessità residue con altri 300,00 €. Questo è mantenimento diretto: nell’ipotesi più classica di mantenimento indiretto (come nell’affidamento esclusivo) l’assegno (non perequativo) sarebbe stato di 600,00 € e la madre collocataria avrebbe dovuto provvedere a tutto.

Mantenimento indiretto. Ove per giustificati e specificati motivi si debba procedere a un mantenimento in forma indiretta, l’assegno che verrà erogato non ha più valenza perequativa, ma sostitutiva del contributo diretto. In tal caso verrà effettuata una distinzione tra voci di spesa comprese nell’assegno o escluse da esso, necessariamente da concordare e documentare oppure no, seguendo i criteri indicati nelle linee guida dell’Unione Nazionale Camere Minorili per questa forma di contribuzione.

Novità a contenuto economico in corso d’opera. Un dubbio di natura applicativa che può venire in mente riguarda la cessazione di una delle attività del figlio i cui costi erano stati assunti da uno dei genitori: ad es., il figlio smette di suonare il pianoforte o di giocare a tennis. In caso di mantenimento diretto può apparire “terribilmente ingiusto”. Ma così non è. Anzitutto l’inconveniente è comune a qualsiasi sistema, salvo dividere tutte le spese a metà (come si fa quasi sempre) o anche in proporzione del reddito, senza corrispondere assegni (come non si fa quasi mai), perché questi sono calibrati in funzione dei bisogni del figlio, sempre mutevoli nel tempo. In secondo luogo è prevedibile in partenza una ridefinizione dei capitoli di spesa con scadenze periodiche (tipicamente ogni tre anni, si veda il Piano Genitoriale), in modo da rispettare la proporzione dei costi alle risorse; evitando di ricorrere all’art. 710 c.p.c., che resta come ultima spiaggia. In effetti conviene a entrambe le parti accettare a priori la possibilità di revisioni, perché non si può sapere in anticipo quali saranno (e a vantaggio di chi) i cambiamenti futuri.

Assegni familiari. Nella medesima ottica, appartenendo nella sostanza il figlio ad entrambi i nuclei familiari (al di là della residenza anagrafica) e non esistendo alcun “genitore prevalente”, in regime condiviso gli “assegni familiari”, è corretto che di regola siano divisi  pariteticamente fra entrambi i genitori, a differenza di quanto vorrebbe attualmente l’INPS che, salvo accordi diversi delle parti, li assegna automaticamente al genitore cosiddetto “collocatario”.

Assegnazione della casa familiare. Nel caso in cui la casa familiare sia di proprietà di uno solo dei genitori e il genitore che ne esce sia sprovvisto di mezzi adeguati per procurare a sé e ai figli un adeguato alloggio quando li ospita, il genitore che resta nella casa familiare, tenuto conto delle rispettive risorse, dovrebbe provvedere, mediante versamento di un contributo a sé stante, a sostenere le spese abitative dell’altro.

Mantenimento del figlio maggiorenne.  Per quanto attiene alle modalità di contribuzione al mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente, in attesa di una probabile pronuncia delle Sezioni Unite appaiono convincenti le conclusioni dell’ordinanza 17183 del 14 agosto 2020 in forza dei principi di prossimità e di autoresponsabilità (anticipato in Cass.10204/2019), sia attiva che passiva, secondo i quali: 

  • non possa più farsi riferimento a un “genitore convivente”, tipicamente identificandolo con quello che al momento veniva chiamato “genitore collocatario”, visto che il figlio, soggetto maggiorenne, trascorre dove vuole tutto il tempo che vuole. Si pensi, ad es., allo studente fuori sede che quando rientra in famiglia a volte va dal padre e a volte dalla madre. Né sembra il caso di rischiare il dilagare del contenzioso introducendo opinabili valutazioni sulla frequenza e durata dei soggiorni presso l’uno o l’altro genitore allo scopo di individuare ad ogni costo un genitore prevalente e fargli gestire le risorse destinate a un soggetto che ha la piena capacità di agire a propria tutela.Per gli stessi motivi per lo studente in sede che esca da un affidamento condiviso – ovvero che come minorenne secondo legge aveva un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori - appare poco plausibile assumere come regime ordinario che divenuto maggiorenne, anziché godere di una libera e totale equidistanza, debba “convivere” con un solo genitore, come se la maggiore età lo avesse reso orfano;
  • ove sia previsto il versamento di un assegno, l’obbligo dovrebbe essere considerato adempiuto quando questo sia versato direttamente al figlio maggiorenne; (la regola è che sia versato “direttamente all’avente diritto” salvo diversa decisione del giudice);
  • i due genitori siano qualitativamente ugualmente obbligati nei suoi confronti e quantitativamente in misura proporzionale alle rispettive risorse, ritenendo il figlio a sua volta obbligato a contribuire alle spese domestiche nella misura in cui convive con ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 315 bis comma quarto c.c.;
  • in via generale, la prova dell’esistenza del diritto al mantenimento debba essere fornita dal beneficiario, anche semplicemente documentando la propria diligente permanenza agli studi, così come questi sia tenuto a comunicare ai genitori la raggiunta autosufficienza economica, anziché la medesima gravare sul/sugli obbligato/i.

Conclusioni

Nella consapevolezza che le riflessioni che nel 2017 hanno condotto il Tribunale di Brindisi a varare linee guida in marcata controtendenza restano ancora parere minoritario, ma anche coscienti della progressiva tendenza a una più vasta condivisione, è stato offerto un ulteriore contributo – costato non poco sforzo di elaborazione – nella speranza, in piena umiltà, che possa servire come base di confronto con altri soggetti ugualmente appassionati della difesa del diritto dei figli a non soffrire inutilmente, più di quanto la situazione rende inevitabile.

TRIBUNALE BRINDISI, LINEE GUIDA 15 APRILE 2021 >> SCARICA IL TESTO PDF

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