sono andata in fondo ai miei buchi neri»- Corriere.it
Quante volte le hanno detto: «Credevo fossi antipatica»? «Sempre! Fin da piccolina. Non so cosa mi renda antipatica, è fuori dal mio controllo: è una barriera tra me e l’altro. Però mentre è bello che te lo dicano se ti sei davvero comportata da antipatica, quando non coincide con la realtà ti ferisce». Ed è quello che succede spesso ad Anita, protagonista di E questo cuore non mente, terzo romanzo (in libreria dall’8 giugno per Rizzoli) di Claudia Lagona, per tutti Levante, catanese di Palagonia nell’intensità dei colori e dei pensieri, per 19 anni «torinese» e dal 30 aprile «milanese», tra Loreto e Porta Venezia, dove ha appena comprato la sua «prima» casa e dove ci incontriamo per un pranzo di lacrime e ricordi, dispensati con equilibrio e generosità.
Lei ha tanto in comune con Anita. A cominciare da un padre che per entrambe muore per un tumore quando avevate 9 anni. «Papà era ferroviere, si chiamava Rosario: aveva iniziato da ragazzo come macchinista e poi era passato in ufficio, nel settore igienico-sanitario. Faceva i controlli sui treni e dove andava lui c’era l’amianto. È mancato per ragioni di servizio, lo ha stabilito il Tribunale nella famosa, per noi, causa Lagona-Gangi».
Gangi è il cognome di sua mamma? «Sì, Maurizia. Papà non voleva che lavorasse; prendersi cura di quattro figli, del resto, era un ruolo faticoso. Lo aveva conosciuto a 15 anni e non si era mai diplomata, così quando lui è mancato ha dovuto rimettersi a studiare. Uscivamo di casa insieme, io per andare alle scuole medie e lei per fare ragioneria».
Levante. Il suo primo album «Manuale distruzione» è del 2014. Nel 2017 ha pubblicato il primo romanzo «Se non ti vedo non esisti» (foto Getty Images)
Come Anita, si sente madre di sua madre?«Come lei mi sono ritrovata a voler difendere una donna che vedevo più fragile. Ero la figlia più piccola: mia sorella Rosalia aveva già 21 anni, quando papà è morto, Maria 19 e Francesco 17. Gli adulti attorno a me sono andati avanti e io sono rimasta quella bambina lì, amatissima, ma forse un po’ sola ad affrontare quello che stava accadendo. A quei tempi non c’era né la possibilità economica né la consapevolezza di comprendere l’importanza di un aiuto psicologico: una cosa così non si diceva nemmeno».
Anita va da un terapeuta, Ferruccio, che fuma la pipa e utilizza l’EMDR. Anche qui scrive per esperienza? La copertina del nuovo romanzo di Levante in uscita per Rizzoli l’8 giugno«Mio padre fumava la pipa, e l’accendeva con dei piccoli baci, come fa Ferruccio nel romanzo. Io da gennaio vedo una terapeuta a Milano ed è il miglior investimento, anche economico, che potessi fare su di me. Finché non trovi qualcuno che ti mette davanti a uno specchio, pensi che certi comportamenti facciano parte del tuo carattere e invece sono nodi che devi sciogliere. In questo libro sono molto nuda. Però se una ragazza leggendolo trovasse il coraggio di indagare sui suoi buchi neri, sarebbe un bellissimo successo. L’adulta che ognuna di noi diventa sa cosa deve fare, è la bambina che fa resistenza».
E Marco, il giornalista-autore con cui Anita ha una relazione, non ricorda un po’ Diodato? «La chiave nel tombino (episodio del romanzo, ndr) è la cosa più vera che lo riguarda. Sapevo che in molti avrebbero fatto questa associazione, era inevitabile: lui si rivedrà in alcune cose, in altre no».
«HO CONOSCIUTO PIETRO UNA SERA CHE ERO ARRABBIATISSIMA: A TAVOLA MI RITROVO DAVANTI QUESTO DIO SICILIANO, DI UNA BELLEZZA NON COMUNE»
Vive con Pietro, avvocato siciliano. Non pubblica mai sue foto sui social. «Stiamo insieme da quasi due anni. Cerco di proteggerlo, e le uniche foto che sono uscite sono state rubate. Ho peccato di ingenuità: mi sono fidata di una famigliola. Quando ho visto lei allontanarsi con il telefonino ho pensato: “Lasciamole il suo momento di gloria con gli amici su WhatsApp”. Non pensavo che avrebbe venduto le foto a un settimanale...».
Come vi siete conosciuti? «È stato un grandissimo colpo di fortuna. Quella sera ero arrabbiatissima e un amico mi propose di uscire a mangiare. Poi ritrattò, si era scordato di una cena di compleanno. E lì mi sono trovata a tavola con questo dio siciliano, di una bellezza non comune. Ma la sua bellezza è quasi trascurabile rispetto all’animo che ha. Purtroppo dice arancina e non arancino… Siamo agli opposti, lui è di Palermo!».
Parlate anche in dialetto? «Pietro lo parla molto male, perché in casa non lo usavano. Mio papà invece ci parlava in dialetto, ma voleva che rispondessimo in italiano».
Foto dall’album di famiglia: fra le braccia del padre Rosario, ferroviere, morto quando Levante aveva 9 anni; ad una recita; bambina nel box e poi sulla spiaggia
Che differenza c’è tra scrivere una canzone e un romanzo? «Uno è una maratona, l’altra una corsa 100 metri a ostacoli, dove gli ostacoli sono la melodia, le parole che non puoi riutilizzare... Per me è più facile scrivere una canzone, impiego 2-3 giorni, il romanzo rappresentava una sfida».
C’è differenza nella felicità che prova? «Scrivere un romanzo è bellissimo, ma è solo dolore finché non arriva il feedback di chi legge. La gioia della canzone è immediata. Però non c’è niente che possa descrivere la felicità di un concerto. Sul palco io mi sento amata».
Il suo romanzo ha una colonna sonora: è appena uscita la canzone “Dall’alba al tramonto”. «Cerco di raccontare il mio amore per i finali, per i titoli di coda. Nei finali è già racchiuso un nuovo inizio».
Nel video ricorda Maria Callas.«Ma è un complimento bellissimo! Ho un po’ il naso greco e poi mio nonno paterno è stato in guerra in Grecia, fu messo in prigione e a un certo punto fu accolto da una famiglia che lo nascose e gli fornì un documento falso in cui si chiamava Teodosio Zampasis. Si vantava di saper parlare così bene il greco che quando i tedeschi lo fermavano, poi lo rilasciavano per attestata grecità».
Lei è un’«autrice che canta» molto impegnata: si è spesa per il caso Cucchi, il Ddl Zan, i diritti delle donne e dei lavoratori. «Ho la sindrome di Sailor Moon, devo sempre proteggere gli altri».
Crede nel potere dei desideri, nella psicomagia di Jodorowsky. Cosa vuole chiedere di «esagerato» all’universo, sperando che ci ascolti? «Un duetto con Paul McCartney è troppo?».
1 giugno 2021 (modifica il 1 giugno 2021 | 11:28)
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