Gisella Floreanini, chi è la prima ministra donna d'Italia
La conoscevano come Falciatrice. Ma si fece chiamare anche Amalia. Oppure Edvige, sì, come la civetta di Harry Potter che, molti anni dopo, verrà amata dai bambini di tutto il mondo. Erano tutti nomi di battaglia, a coprire il suo vero nome, mille identità per una signora milanese dall’apparenza mite, che insegnava scale e arpeggi al pianoforte, ma che in realtà non aveva paura di combattere per le proprie idee. Era una musicista ed era rimasta orfana a soli quattro anni. L’aveva cresciuta il papà, un uomo di impronta liberale, che allevò, insieme alla nonna, lei e la sorellina.
Si chiamava Gisella Floreanini, viveva a Milano con la sua famiglia che era, per quei tempi, agiata e, nonostante la precoce dipartita della mamma, fu accudita e cresciuta con amore. Quando l’impresa di famiglia fallì, nella crisi del ’29, che distrusse l’economia mondiale, lei si era diplomata al Conservatorio e riuscì a mantenere tutti quanti dando lezioni di pianoforte. Poi, come tutte le ragazze, si innamorò. Si sposò con Gianni Todaro e i due ebbero una figlia, di nome Valeria. Il matrimonio non durò, lei si era innamorata di un compagno di militanza, per lui aveva lasciato il marito e questo le costò l’inserimento nella lista dei sovversivi e le attenzioni della polizia.
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Il marito si ammalò, morì di tifo e Gisella si ritrovò vedova con una figlia. Frattanto si era avvicinata ai gruppi socialisti, si occupava di raccogliere fondi per le famiglie dei perseguitati politici, e dovette entrare in clandestinità. Nel 1938 fu costretta ad espatriare in Svizzera per aver diffuso della stampa clandestina: qui fu attiva nella Lega italiana per i diritti umani e responsabile della sezione del Partito Socialista Italiano di Ginevra. Nel 1939 si risposò con rito civile, a Lugano, con l’uomo per cui aveva lasciato il marito, Vittorio Della Porta e con lui si avvicinò al Partito Comunista. Nel 1942 si iscrisse al Pci e nel ’43 rientrò in Italia, seppur ricercata, per prendere parte alla Resistenza. Nel tentativo di trasferire del denaro tra Svizzera e Italia, soldi che sarebbero serviti ai partigiani, venne arrestata e condotta in carcere.
Mentre lei era in carcere il marito si innamorò di un’altra donna e divorziò (il matrimonio dei due era stato celebrato in Svizzera), Gisella rimase in carcere fino al 1944, quando venne liberata dalle forze partigiane e condotta nelle valli dell’Ossola. È in queste zone che si instaurò una repubblica, la prima della storia italiana, mentre nella maggior parte della penisola ancora infuriava la dominazione nazifascista.
Per quarantacinque giorni di strenua resistenza, uomini e donne posero le basi per una democrazia. Si confrontarono, litigarono, lottarono, impararono a gestire una forma di governo sconosciuta, per un paese che era sempre stato diviso, elitario, monarchico o sotto il giogo di un dittatore. Durante quel periodo, Gisella venne nominata la prima Ministra donna della storia italiana, evento ancora più eccezionale perché nel resto d’Italia le donne non avevano mai avuto il diritto di voto. Le venne affidato l’incarico di sovraintendere all’organizzazione nei settori delle mutue, degli istituti contro gli infortuni, delle organizzazioni assistenziali e culturali dei lavoratori. Una specie di Ministro della sanità e della famiglia, ante-litteram.
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La Repubblica dell’Ossola durò poco. Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre 1944, i nazifascisti ripresero il potere in Ossola e cancellarono la zona libera. Il giornalista Giorgio Bocca affermò che “in quanto a democrazia, ha fatto più questa piccola repubblica in 45 giorni che quella grande in tutti i decenni successivi”. Tra le altre cose, la neonata repubblica, che sperava di servire da esempio, e di diffondersi nel resto della penisola ancora occupata, proclamò l’abolizione della pena di morte. Dovettero arrendersi per la mancanza di cibo e di rinforzi, che furono promessi dagli angloamericani, ma non arrivarono mai. Gisella si occupò dei bambini presenti nel territorio e riuscì a farli espatriare in Svizzera per proteggerli dalle rappresaglie nazifasciste.
Messi al sicuro i bimbi, riattraversò il confine italiano, affrontò un lungo e pericoloso viaggio, in pieno rastrellamento, ma riuscendo comunque a raggiungere il comando delle brigate valsesiane di Cino Moscatelli. Da lì diresse l'attività di assistenza ai combattenti partigiani delle zone del Cusio e del Verbano. Sarà Gisella, come presidente del CLN di Novara, a trattare la resa del locale comando tedesco. Fu l’unica donna in Italia a ricoprire quel ruolo e riuscì a dirigere l'assistenza alla popolazione dell'intera provincia e a definire le condizioni di resa dei nazifascisti. Dopo la Liberazione, la Floreanini non smise di fare politica attiva: Medaglia d'Oro della Resistenza, fu membro della Consulta nazionale, deputata alla Camera nelle prime due legislature, segretaria dell'Unione nazionale soccorso infanzia, dirigente nazionale dell'Unione Donne Italiane, presidente nazionale dell’Anpi, consigliera comunale a Milano.
Per due volte, il suo partito la “tradì”, venne esclusa dall’Assemblea Costituente e nel 1958 non ripresentarono la sua candidatura alle elezioni, nonostante come deputata fosse stata firmataria di leggi per l’eguaglianza e il miglioramento delle condizioni delle donne lavoratrici e per la parità salariale. Per avere un altro Ministro donna dovemmo aspettare Tina Anselmi, luglio del 1976. Per avere una donna Presidente della Camera, Nilde Iotti nel ‘79. Per avere una donna come Presidente della Repubblica stiamo ancora aspettando.
Gisella morì nel 1993. Le hanno dedicato due strade, a Domodossola e a Garlasco. E una scuola media. Nel comune di Milano, di lei non c’è nulla, nessuna piazza, nessuna targa, per lei che ci ricorda che: "una donna per la prima volta nella storia del nostro Paese, una donna che non fosse una regina, una principessa o una badessa, è diventata una dirigente di governo, un atto nuovo e unico nella storia d'Italia".
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