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Da quel 2 giugno grandi vittorie giuridiche per le donne: "Ma culturalmente siamo indietro"

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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Il 2 giugno 1946 è per le donne italiane una data cardine dei diritti civili e dell’equiparazione dei sessi.

Per il referendum istituzionale che chiede ai cittadini di scegliere tra Monarchia e Repubblica, le donne, per la prima volta nella storia italiana, possono votare. Ventotto anni dopo la Gran Bretagna e ventisei anni dopo gli Stati Uniti.

Un giorno conquistato con fatica, sacrifici e tanti no e che segna solo l’inizio di una lunga serie di vittorie ottenute con i denti e con le unghie per le donne italiane.

Usare il proprio cognome, ad esempio? Per una moglie italiana era impossibile fino al 1975. L’adulterio femminile cessa di essere reato nel 1968 e nel 1956 viene varata la legge sulla parità retributiva tra uomo e donna.

Nel 1963 decade la legge fascista che prevedeva la possibilità di licenziare le donne a seguito di un matrimonio o di una maternità. Nello stesso anno viene permesso l’ingresso delle donne in magistratura quando la legge numero 66 regolamentò “l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni”.

Nel 1970 il divorzio diventa legale e, cinque anni dopo, i coniugi diventano, per la prima volta in Italia, uguali di fronte alla legge. Nel 1983 è riconosciuta anche la parità tra padri e madri nei congedi parentali.

È dell’87 l’indennità di maternità per le donne lavoratrici autonome, dell’88 quella delle disoccupate. La legge 194 del 1978 permette l’aborto. Nell’81 scompare anche l’istituto del matrimonio riparatore che accettava l’annullamento del reato di stupro se “aggiustato” dalle nozze.

Nel 2011 stabilisce che nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in Borsa ci sia almeno un quinto di componenti donne. Due anni dopo viene approvata la legge che prevede l’arresto obbligatorio in caso di stalking e maltrattamento.

“Ma ancora sono tanti i diritti che mancano. Immenso il lavoro che c’è da fare. Il 2 giugno ha segnato una grande tappa, ma, se sono stati fatti da quel momento importanti passi avanti giuridicamente, non lo stesso si può dire da un punto di vista culturale”, ha dichiarato a Bergamonews l’avvocata di Bergamo, Barbara Carsana e componente dell’associazione italiana degli avvocati per la famiglia e i minori (AIAF) che ha dedicato la sua professione alla difesa dei diritti civili.

Anni di vittorie e radicali cambiamenti, iniziati da quel 2 giugno 1946. Ma che ancora, giorno dopo giorno, si cercano di mettere nell’ombra, con quotidiani slogan legati alle “vere”, secondo alcuni, vocazioni e capacità delle donne.

Con odio e atti di violenza fisica, psicologica e verbale, in strada, in casa, a scuola, in famiglia e nelle aziende. Alimentati da un substrato antico, basato sulla fervida credenza che uomini e donne siano diversi e che, perciò, non possono ambire, fare, sognare ed essere lo stesso.

Conquiste non a pieno considerate e riconosciute nemmeno dalle giovani donne: “Le giovanissime, per la gran parte, o meglio per quelle che ho incontrato io, non hanno percezione di quelle che sono state le lotte delle loro nonne e bis nonne – commenta l’avvocata bergamasca Federica Tucci, e membro dell’AIAF – Per un verso ciò è fisiologico, è difficile avere consapevolezza di quello che si vive come “naturale”, talvolta, però, si assiste alla svalutazione del femminismo non riuscendo a comprendere come la loro condizione di oggi sia possibile solo grazie alla lunga battaglia delle donne.Quando da donna di mezza età ascolto le giovani ragazze raccontare la loro percezione della parità di genere a me sembra che per alcuni aspetti ci sia una involuzione. Queste ragazze accettano forme di controllo nella relazione affettiva per esempio attraverso i social media o peggio ancora accettare imposizioni su come vestirsi o chi frequentare per me difficili da comprendere.”

“Questa pandemia purtroppo ha solo che acuito l’ormai noto gender gap – continua Carsana – è sufficiente vedere come il 90% dei licenziamenti in questo periodo siano stati di donne perché, ancora una volta, il sistema di cura non è uguale tra uomini e donne. E nessuna legge lo cambierà. Quello che deve cambiare è la cultura e il modo di pensare di tutti noi”.

“È, quindi, un tema profondamente culturale ancora prima che giuridico. Bisogna abbattere la struttura attorno alla nostra società che è estremamente limitante per genere e far finalmente passare l’idea che la biologia non è un destino”, continua l’avvocata.

Attualmente nella classifica stilata dal World Economic Forum riguardo al report del Gender Gap, l’Italia dal 78° posto è passata al 63°, ma resta tra i peggiori in Europa.

“Avremmo dovuto abbattere il gap nel 2020, ma credo che non ci riusciremo nemmeno nel 2040. E forse mai raggiungeremo l’obiettivo – dichiara amaramente Carsana – La nostra società è troppo e intrinsecamente iper sessualizzata e alimentata da idee basate su una dicotomia di modelli: maschile e femminile. In cui ogni cosa è sessualizzata, di tutto viene fatta una questione di orientamento sessuale, veda, ad esempio, la Legge Zan attorno a cui, pochi, a parer mio, hanno capito il senso”.

“Viviamo di modelli precostituiti, di un linguaggio che crea aspettative con qualifiche che, se dette al maschile, hanno un valore, al femminile, invece, no. Come per il caso della direttrice d’orchestra al festival di Sanremo che con forza ha voluto essere chiamata ‘Direttore’, come se l’equivalente femminile non abbia lo stesso valore” continua Carsana.

“Che questo 2 giugno, quindi, ci faccia pensare ed onorare le vittorie conquistate, ma che ci spinga a continuare a lottare e cambiare il nostro modo di pensare, per far sì che mai la biologia e la natura possano essere un limite di quello che possiamo essere”, conclude l’avvocata.

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