Matrimoni combinati, in un anno 32 denunce. "Ma i casi sono molti di più"
Quante sono in Italia le storie come quella di Saman? Il caso della 18enne di Novellara scomparsa da oltre un mese e probabilmente uccisa per aver rifiutato di sposare un uomo imposto dalla famiglia ha riacceso l'attenzione sul tema dei matrimoni combinati e della violenza fra le mure domestiche. Casi che talvolta sfociano anche nel femminicidio e che quando diventano di dominio pubblico - di solito molto raramente - diventano terreno di zuffa e scontro ideologico. Ad oggi non ci sono stime recenti e attendibili per capire quanto sia vasto il fenomeno. Ma la domanda che forse dovremmo porci è se facciamo abbastanza per proteggere queste ragazze.
La legge che punisce i matrimoni combinati
Intanto va detto che in Italia una legge specifica contro i matrimoni forzati è entrata in vigore meno di due anni fa e finora non sembra aver portato a risultati eclatanti. I dati indicati nel rapporto 'codice rosso' del ministero dell'Interno ci dicono che nell'arco di un anno (e vale a dire dal 1° agosto del 2019 al 31 luglio del 2020) solo 32 procedimenti sono stati aperti per il reato di costrizione o induzione al matrimonio. In 7 casi il fascicolo è stato archiviato e solo in 3 è stata esercitata l'azione penale. Il rapporto specifica anche che al 31 luglio "non risultavano procedimenti penali conclusi con sentenza". Cosa c'è che non va? La legge n.69 del 19 luglio 2019 prevede all'articolo 7 che "chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile" sia "punito con la reclusione da uno a cinque anni", ma la detenzione aumenta da due a sette anni se la vittima ha meno di 14 anni. La legge specifica poi che il reato scatta anche quando il matrimonio "è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero".
"Le ragazze faticano a denunciare i genitori, una legge non basta"
Ma le leggi, da sole, spesso non bastano. Alessandra Davide, presidente e responsabile del Centro Antiviolenza Trama di Terre, si occupa da anni di casi come quello di Saman. Nel 2011 l'associazione che ha sede a Imola ha aperto una casa rifugio proprio per dare assistenza a queste ragazze. "In 10 anni ne abbiamo aiutate un centinaio" dice raggiunta al telefono da Today. E l'approvazione della legge non ha cambiato granché. "I numeri indicati nel rapporto del Viminale sono bassissimi rispetto a quelli reali". Il problema principale, dice, "è che la legge nasce senza un vero processo di riconoscimento di questo tipo di reato come una violazione dei diritti delle donne". Il nostro timore" è che questi casi vengano anzi usati "per criminalizzare delle comunità o la migrazione stessa tant'è che la destra già lo sta facendo". Inoltre, argomenta la presidente del centro antiviolenza, "chi lavora in questi ambiti sa molto bene che le ragazze faticano a denunciare i genitori, la famiglia per loro rimane un punto di riferimento affettivo". Il reato è infatti perseguibile d'ufficio (esattamente come accade per i maltrattamenti in famiglia), vale a dire che si procede nei confronti dei responsabili a prescindere dalla volontà della vittima. E dunque andare in questura vuol dire recidere tutti i ponti con il proprio mondo.
Non tutte le vittime "vogliono vivere all'occidentale"
Più in generale secondo Alessandra Davide ancor prima dell'aspetto punitivo sarebbe stata necessaria una campagna di sensibilizzazione, "una risposta politica" che riconoscesse "il matrimonio forzato come una violenza nei confronti delle donne". In questo modo avremmo dato "una risposta alle ragazze che devono sapere che questo costrizioni sono riconosciute come violenza". E poi va chiarito un equivoco. Non tutte le ragazze che chiedono aiuto "vogliono vivere all'occidentale". "Queste ragazze non vogliono per forza seguire i modelli del Paese in cui vivono, vogliono vivere la propria vita come una forma di emancipazione contro una forma di violenza qual è il matrimonio forzato".
Insomma, non sono ragazze migranti, ma semplicemente ragazze che si ribellano ad una violenza. La legge dal canto suo, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito un principio. E ha degli aspetti positivi. Il fatto che sia transnazionale ad esempio permette alle vittime "di chiedere aiuto all'ambasciata del Paese di provenienza nel caso vengano portate all'estero con l'inganno o con la forza per farle sposare". Nei fatti, benché non ci siano dati certi, si presume che la maggior parte dei matrimoni combinati siano celebrati all'estero.
E poi c'è il tema dello ius soli che "permetterebbe di alle ragazze di riconoscersi parte attiva di questo Paese senza adeguarsi al contesto in cui vivono". Perché la solitudine è una condizione comune a molte vittime. Il rischio, dice la presidente di Trama di terre, "è che non vengano riconosciute dal Paese di provenienza perché occidentali e neppure nel Paese in cui vivono". Il tema non è l'identità, ma "il riconoscimento di un percorso che stanno facendo". Resta il fatto che quello dei matrimoni combinati è un fenomeno in gran parte sommerso. Una zona grigia su cui è difficile fare luce. Quante sono le Saman oggi in Italia forse non lo sapremo mai.