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Se ne va Paola Pigni, tracciò correndo la strada alle donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Aveva un corpo di filo di ferro Paola Pigni e una testa che correva avanti. Quando ha cominciato a correre, seguendo l’istinto, le lunghe distanze non eran cose da ragazza: al massimo le concedevano gli 800 metri, come a Citta del Messico 1968, contro l’evidenza che chiama doppio giro della morte la feroce resistenza alla velocità che richiedono. Anni dopo Paola si chiedeva dove sarebbe arrivata se le gare olimpiche femminili fossero state  da subito più lunghe. Aveva un corpo nato per correre più lontano, le piacevano il fango e il percorso accidentato delle campestri, non per caso è stata due volte campionessa mondiale di Cross. Nel 1969 ha stabilito il record del mondo nei 1.500 metri, quando ancora erano terra di frontiera, tre anni dopo a Monaco di Baviera, ha agguantato sulla distanza il bronzo olimpico con una rimonta fenomenale che Stefano Jacomuzzi nella sua storia delle Olimpiadi ha raccontato così: «Sul rettilineo finale è quinta ma lanciatissima: supera la Keizer, l’olandese spompata, supera anche l’inglese Carey e si avvicina alla tedesca orientale Hoffmeister ma avrebbe bisogno ancora di due metri per raggiungerla, invece il filo è lì. Resta indietro per un decimo di secondo. Il lampo di uno sguardo». Con quella corsa ha fatto da apripista all’atletica delle donne che stava per venire: Sara Simeoni, Gabriella Dorio. Ma anche più in là: all’inizio degli anni Settanta ha perlustrato distanze di là da venire nel panorama olimpico femminile: i 3.000, i 5000, i 10.000, nel 1971 ha portato a termine la maratona di San Silvestro, fin lì per soli uomini, ed è mancato poco che lo facesse stando sotto le tre ore. Quarant’anni prima c’era stata Ondina Valla, ma erano i 60 metri ostacoli e altri tempi.

Ancora negli anni Settanta lo sport non “vedeva” le donne, le nascondeva dentro divise pensate per i maschi e non le pagava – solo gloria, poca –, ci sono voluti decenni, perché l’abbigliamento sportivo si accorgesse che nell’altra metà del cielo c’era una fetta non piccola di mercato da occupare. Erano anni in cui lo sport delle donne suscitava sospetti: il doping di Stato che all’Est soprattutto faceva scempio dei corpi delle ragazze non ha aiutato, gettava un’ombra di pregiudizio.

Paola ha corso e vissuto com’era e come sapeva: ha sposato il professor Bruno Cacchi, che credeva nel lato scientifico dell’allenamento. Poco dopo nel marzo 1971 ha dato alla luce Chiara, facendo una cosa rivoluzionaria: tornare a correre, a poche settimane dal parto, in tempi in cui una maternità segnava la fine della carriera sportiva. Dieci anni dopo è arrivato Claudio che oggi fa il medico in Germania, ma non si sentiva "Madre coraggio" per questo: «Semplicemente stavo bene», minimizzava anni dopo. Si è ritirata nel 1976 dopo tredici operazioni a un piede diventato una carta geografica di cicatrici, si dice che tutto fosse cominciato non dando peso in gara al fastidio di un sassolino in una scarpa. Non ha mai lasciato lo sport, ha insegnato a lungo educazione fisica nelle scuole, è stata consulente e nei fatti allenatrice della squadra nazionale di Pentathlon moderno negli anni Ottanta e dopo ha fatto parte della Federazione Bocce. Nel 1987, parlando a un numero di Guerin sportivo Mese, tutto dedicato alle donne, a proposito di pari opportunità disse cose modernissime: «La parità vera si può raggiungere in due modi: intervenendo d’autorità o educando: Nel primo caso si mettono le donne nei posti che fino a poco prima erano loro preclusi. Ma questo non elimina la diffidenza, la disabitudine. Nel secondo si insegna a fare – ognuno di noi senza distinzioni di sesso – secondo le proprie capacità. Io penso che i tempi dell’evoluzione naturale siano troppo lunghi, ma non credo che si possa andare molto avanti senza una base educativa solida. Ci si lamenta della scarsa propensione paritaria dell’uomo. Ma io mi dico: non è forse vero che il 70 per cento del corpo insegnante è composto da donne? E allora perché non si comincia a educare i ragazzi alla parità di diritti e doveri fin dalle prime classi? Io credo che sia un problema di carattere razziale, sia che si parli di sesso, di religione, del colore della pelle. Per questo dico che non dobbiamo piangerci addosso ma andare avanti».

Se n’è andata l’11 giugno 2021, a 75 anni, all’improvviso subito dopo aver partecipato nella tenuta presidenziale di Castel Porziano alla cerimonia per la Festa dell'Educazione alimentare nelle scuole, alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Ci piace pensare che nel suo paradiso ci sia una Foresta nera, in cui correre. Andarci era sogno che non ha fatto in tempo a realizzare.

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