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Stereotipi sessisti in sentenza: CEDU condanna nuovamente l’Italia

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Nuova batosta per lo Stato italiano, condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ad un risarcimento di 12.000 euro per danni morali in favore di una giovane donna.

Sotto accusa la sentenza con cui, nel 2015, la Corte d’Appello di Firenze ha assolto i sette imputati del procedimento per stupro avvenuto nel 2008 presso la Fortezza da Basso ai danni della giovane, ribaltando la condanna disposta in primo grado per sei di loro.

A ricorrere alla Corte Europea è stata proprio la donna, contestando non tanto la pronuncia di assoluzione quanto il contenuto della sentenza, in particolare l’ingiustificato rilievo dato dalla Corte fiorentina alle sue abitudini di vita, sminuendone la credibilità e minimizzando la violenza subita.

Circostanze quali l’orientamento sessuale della giovane, la sua condizione familiare, ma anche le scelte di abbigliamento o le attività artistiche e culturali svolte, sono state infatti analiticamente vagliate dalla Corte d’appello e ritenute determinanti ai fini dell’assoluzione.

I giudici (un uomo e due donne), hanno infatti concluso che la denuncia e il successivo procedimento penale avrebbero rappresentato la risposta della ragazza ad un “discutibile momento di debolezza e di fragilità che una vita non lineare come la sua avrebbe voluto censurare e rimuovere”.

Non di stupro si sarebbe trattato, quindi, ma di un mero “rapporto mal interpretato”, per cui la vicenda, per quanto incresciosa e “non encomiabile per nessuno”, non avrebbe assunto rilevanza penale.

Di tutt’altro avviso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che con la sentenza 27 maggio 2021 (testo in calce) ha accolto il ricorso della giovane, ritenendo che il linguaggio e gli argomenti utilizzati nella pronuncia riflettano pregiudizi e stereotipi sul ruolo delle donne realmente esistenti nella società italiana, contribuendo ad ostacolare l’effettiva tutela dei diritti delle vittime di violenza di genere.

In particolare è incomprensibile l’enfasi posta dalla Corte d’Appello su aspetti della vita privata della ricorrente, che essendo del tutto irrilevanti per valutarne la credibilità e la responsabilità penale degli imputati dovevano rimanere riservati.

L’obbligo di tutela delle presunte vittime di violenza di genere impone infatti il dovere di proteggerne l’immagine, la dignità e la privacy, anche non divulgando informazioni e dati personali non correlati con i fatti.

Un obbligo che ha portata nazionale e internazionale - osserva la Corte - e che si impone anche a livello giudiziario, vincolando la discrezionalità dei giudici alla tutela dell’immagine e della privacy delle parti in causa da qualsiasi ingerenza o violazione ingiustificata.

Secondo la Corte Europea, procedimenti e sanzioni penali svolgono un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta a questo tipo di disuguaglianza. È quindi essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle proprie decisioni, esponendo le donne ad una vittimizzazione secondaria mediante l’uso di commenti colpevoli e moralizzanti che possono scoraggiarne la fiducia nella giustizia.

Una lezione che l’Italia sembra però aver difficoltà a recepire, almeno stando ai risultati della settima relazione del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne e del rapporto GREVIO, sull’attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia.

Entrambi confermano la persistenza, nel nostro Paese, di stereotipi sul ruolo femminile e di una resistenza della società italiana verso la causa della parità di genere.

Ne è la prova il numero, estremamente esiguo, di denunce, procedimenti penali e condanne per questo tipo di reati, che testimonia la sfiducia delle vittime nel sistema di giustizia penale.

Sebbene il cammino sia ancora in salita, la pronuncia della Corte Europea rappresenta un piccolo ma importante passo avanti, ribadendo la necessità di una formazione specifica degli operatori giudiziari, atta a prevenire visioni stereotipate, anacronistiche e sessiste e fenomeni di vittimizzazione secondaria.

CEDU, SENTENZA 27 MAGGIO 2021 >> SCARICA IL TESTO PDF

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