Pandemia, il prezzo più alto lo pagano donne e bambini
Siamo abituati a considerare i diritti delle donne e quelli dei bambini come due categorie distinte e in nessun modo sovrapponibili. Ma se invece fossero più interconnessi di quanto crediamo? È l'esperimento statistico che prova a fare WeWorld, un'organizzazione non governativa italiana che si occupa di promuovere i diritti di donne e bambini in 27 Paesi e che nel suo ultimo indice "Mai più invisibili" prova a valutare e mettere in relazione i diritti dell'infanzia con quelli delle donne. "Non significa negare la specificità dei due gruppi e di alcuni diritti propri, ma ammettere che siano concatenati sia quando vengono rispettati che quando sono negati" mette in guardia il report, che valuta il livello di inclusione economico, sociale, educativo e sanitario di donne e bambini nel tessuto produttivo del Paese.
Sulla base di questo approccio integrato l'indice evidenzia come in Italia donne e bambini vivono in condizioni di buona e sufficiente inclusione nei territori del Nord e del Centro-Ovest della penisola e condizioni di grave esclusione al Sud, nelle isole e nelle regioni centro-orientali del Paese. Un dato non così scontato e su cui ha avuto un grave impatto la pandemia. Gli indicatori che mostrano un maggiore divario tra regione e regione riguardano, in particolare, il tasso di occupazione delle donne in età compresa tra i 20 e i 64 anni, che in Trentino Alto Adige è pari al 69,8% della popolazione contro il 31,5% della Sicilia, ma anche il numero di giovani donne tra i 15 e i 29 anni, le cosiddette Neet, che non studiano e non lavorano: appena il 15,6% in Trentino contro il 40,4% in Sicilia. Dati che si riflettono sulla percentuale di rischio di povertà o esclusione sociale femminile, che sempre in Trentino - tra le regioni con i valori migliori - è pari al 15,2% mentre al Sud può arrivare fino al 52,5%.
Le criticità non riguardano solo le donne, ma anche i bambini per i quali il rischio dell'esclusione sociale è molto elevato in una regione come la Calabria, il cui Pil pro capite è pari a meno della metà di quello trentino e il tasso di disoccupazione e l'indice di povertà regionale sono sette volte maggiori della prima regione in classifica. Le criticità inerenti la condizione della popolazione under 18 erano già state messe in luce dal WeWorld Index, che dal 2015 ad oggi ha registrato un costante declino dell'Italia, passata nella classifica internazionale dalla 18esima posizione alla 27esima. Un valore che non sembra destinato a migliorare soprattutto alla luce dei recenti dati Istat, che evidenziano come i tassi di occupazione delle donne siano calati del -2,58% dal 2019 al 2020 (contro l'1,67% degli uomini).
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Le ingiustizie, specialmente per i più giovani, non riguardano però solo la difficoltà di accesso allo studio e al lavoro, ma anche una serie di fattori ambientali che hanno ugualmente a che fare con il benessere della persona come la possibilità a molti ancora negata di crescere in prossimità di servizi essenziali, centri culturali e sportivi, una buona qualità dell'aria e la presenza di aree verdi. Di contro, fattori come la delinquenza, l'abusivismo edilizio, la mancata raccolta differenziata dei rifiuti e la scarsa copertura della banda ultra larga giocano un ruolo molto serio su fenomeni come abbandono scolastico precoce e scarsa scolarizzazione con conseguente esclusione dal mercato del lavoro. Al cronico ritardo di certe regioni si aggiungono i danni causati dalla pandemia, che ha mostrato le lacune più profonde del nostro Paese proprio nella scarsa digitalizzazione di certe aree dell'entroterra o delle piccole isole, per mesi rimaste totalmente tagliate fuori dalla cosiddetta didattica a distanza.
Può sembrare scontato ma un ambiente familiare sano con un buon livello di istruzione è presupposto essenziale affinché si riproduca quel sistema virtuoso di promozione sociale di generazione in generazione che ha visto milioni di famiglie migliorare la propria condizione dal secondo dopo guerra a tutt'oggi. Se un tempo l'obiettivo minimo era la licenza elementare ora requisito imprescindibile è diventato il diploma di scuola superiore se non addirittura la laurea se si vuole sperare di migliorare le proprie condizioni di partenza. Per questo "fin dall’infanzia a ogni bambino e bambina deve essere data la possibilità di sviluppare e ampliare il proprio capitale umano, cioè l’insieme di saperi, conoscenze, competenze e abilità che contribuiscono alla formazione degli individui", spiega il report, che sottolinea come il livello d’istruzione, assieme al contesto socio-economico familiare, continui ad esercitare un ruolo rilevante nelle scelte formative e professionali dei giovani, "bloccandone la mobilità sociale laddove i ragazzi/e vivono in un contesto di privazioni". È evidente insomma come i diritti all'istruzione, alla salute e al lavoro delle donne siano strettamente interconnessi con quelli dei bambini, che per poter aspirare a un futuro migliore devono poter godere quantomeno di un presente dignitoso e inclusivo.
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