Ddl Zan, se non ci opporremo alle ingerenze della Chiesa avremo perso i nostri diritti civili
La frase attribuita a Gaetano Salvemini per cui “i cattolici rivendicano le loro libertà in base ai nostri principi (laici) e negano le nostre libertà in base ai loro principi (religiosi)” rimane drammaticamente vera ancora oggi, a oltre sessant’anni dalla morte del suo presunto autore. Nessuna persona di buon senso, credo, si aspetta che la Chiesa cattolica e il suo braccio territoriale (il Vaticano) se ne stiano silenti di fronte a scelte politiche di Stati sovrani che contraddicono frontalmente quanto loro vanno sostenendo da almeno quindici secoli. Ma ci attendiamo, come cittadini di uno Stato democratico e soprattutto laico, che la classe politica che dice di rappresentarci si sottragga a queste pressioni e lo faccia a testa alta e senza paura, respingendo al mittente certe pretese di ingerenza nel dibattito parlamentare.
La Segreteria di Stato vaticana, cioè quell’organo corrispondente al nostro ministero degli Esteri, ha inviato una “nota verbale” al governo italiano, sollecitandolo a “rimodulare” il disegno di legge in materia di omobitransfobia, misoginia e abilismo (ddl Zan) attualmente in discussione in Senato (se “discussione” si può chiamare la vergognosa carrellata di (in)auditi da Circo Barnum che in queste settimane popola la Commissione giustizia).
Il testo della nota non è stato diffuso, ma sul contenuto ha provveduto a qualche chiarimento la stessa stampa vaticana con un’intervista al costituzionalista Cesare Mirabelli: “Alcuni contenuti attuali (…) del disegno di legge (…) ‘riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica’ in tema di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale, ovvero quelle libertà sancite dall’articolo 2, ai commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato del 1984”.
Le previsioni citate stabiliscono che l’Italia da un lato “riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione [e] la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale (…)” (articolo 2, comma 1) e, dall’altro, garantisce “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (articolo 2, comma 3). Dunque due sembrano essere i punti di frizione:
1. la libertà della Chiesa di continuare a sostenere e dire che le unioni omosessuali “sono contrarie alla legge naturale, precludono all’atto sessuale il dono della vita, non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale [e] in nessun caso possono essere approvati” (canone 2357 del Catechismo);
2. la libertà delle scuole cattoliche di portare questi insegnamenti sul terreno educativo, con tutte le conseguenze che ciò comporta per gli/le adolescenti e i/le giovani Lgbtq+. Il ddl Zan, a tal riguardo, prevede che si celebri la giornata internazionale contro l’omofobia nelle scuole, e questo viene vissuto come un’indebita ingerenza nella suddetta libertà educativa (ingerenza a senso unico, insomma).
E’ forse bene ricordare che da sempre la Religione è, assieme alla Legge e alla Medicina, fonte potentissima di stigmatizzazione delle persone omosessuali. Se per secoli il Diritto canonico ha punito l’attosessuale tra maschi, solo nella seconda metà del XIX secolo la Scienza medica ha iniziato a occuparsi del comportamento omosessuale, definendolo una patologia. Quanto alla Religione, la sua storia di oscurantismo, censura, segregazione e punizione violenta delle persone omosessuali per mano della Chiesa cattolica è vicenda fin troppo nota per essere approfondita in questa sede. Dopo che, sempre nel XIX secolo, veniva sottratto alla Chiesa il potere temporale sulle persone, essa, senza dirlo apertamente, faceva sua l’eugenetica capitalistica per cui solo la coppia eterosessuale, dunque potenzialmente (ri)produttrice, sarebbe qualificata come conforme al piano divino che vuole tutti i nostri corpi strumenti di un disegno più grande.
Se in questo disegno non c’è posto per uomini che amano altri uomini, per donne che amano altre donne e per persone che realizzano di non appartenere al genere loro assegnato alla nascita, è solo perché la loro sessualità non è meramente funzionale al suddetto piano (ri)produttivo. Detto altrimenti: questa religione, con le sue ricche istituzioni e spietate gerarchie, che rifiuta di fare pulizia a casa propria (mi riferisco, evidentemente, allo scandalo della pedofilia, sul quale non dobbiamo e non possiamo mai abbassare la guardia) e investe i propri soldi (propri?) in speculazioni finanziarie internazionali, insomma non proprio un esempio da cui prendere lezioni, è rimasta l’ultimo baluardo di stigmatizzazione dell’omosessualità dopo che la medicina (dal 1973 in America e nel 1990 a livello di Oms) l’ha depatologizzata e il diritto l’ha riconosciuta come dimensione personale degna di protezione sul piano costituzionale.
Una dopo l’altra le sentenze di tribunali nazionali e corti sovranazionali hanno demolito quelle stesse narrazioni dell’omosessualità che ci venivano raccontate con pervicacia dalla religione, come ad esempio l’associazione tra omosessualità e pedofilia, la rilevanza dell’assenza di capacità procreativa nel matrimonio e il deficit relazionale delle persone Lgbtq+ e la loro inidoneità ad essere buoni genitori. Anche a queste persone, peraltro, è stata in più occasioni riconosciuta libertà di esprimersi, confermandosi così che la libertà di espressione o è di tutti o non è di nessuno, e reclamarla solo per sé e non per gli altri si chiama privilegio. E la Chiesa di privilegi ne sa qualcosa.
In questo contesto, allora, dovremmo metterci a ridiscutere l’utilità di una serie di accordi che la Chiesa usa costantemente per portare avanti la sua ideologia profondamente materialistica sulla riproduzione, accordi che trovano fondamento nel fatto di possedere un braccio territoriale indipendente e con leggi proprie (peraltro sempre in aperta violazione dei diritti umani fondamentali) e che vengono usati, come dicevo, all’evidente solo fine di negare ad altri i diritti che i suoi fedeli già posseggono, perché la Legge oggi punisce col diritto penale la discriminazione sulla base della religione.
Io so benissimo cosa significa crescere in un contesto cattolico soffocante, frequentare una scuola cattolica e continuare a essere bersaglio di messaggi di stigmatizzazione che ti fanno sentire sbagliato nel profondo delle tue viscere. E’ un messaggio devastante, ti entra nella pelle proprio come uno stigma. Ricordo quando l’insegnante di religione ci lesse i canoni del Catechismo sull’omosessualità e il silenzio che imprigionò le pareti dell’aula insieme al mio corpo di adolescente che poco ancora capiva di sé e del mondo. Il mio sguardo fisso nel vuoto, la negazione della verità di ciò che si è, lo stridore degli sguardi dei compagni di classe che mentre ti fissano ti giudicano.
La tua anima scompare, il tuo corpo si ritorce in uno spazio sempre più ridotto. Il tutto finché non ti fai coraggio e ti rendi conto che se cammini, respiri, mangi, lavori e paghi le tasse come tutti gli altri non può essere il sesso della persona che ti piace a determinare lo spazio che occupi nel mondo. Il tuo corpo, i nostri corpi, meritano di meglio. Non sono strumenti, come vorrebbe questo capitale travestito da religione, ma esseri degni di vivere. Non siamo al mondo per essere strumenti di altri. E la Chiesa cattolica non deve essere necessariamente la nostra casa; esistono altre religioni, inclusive e aperte, che non si nascondono dietro ai protocolli diplomatici o ai trattati internazionali, ma accolgono, invitano e pregano per e in nome di tutti. Ed esiste anche il diritto di non avere alcuna religione.
Spero con tutto il cuore che il nostro Governo combatta questa ingerenza indebita non solo sul piano formale ma anche sostanziale, opponendo non tanto la propria sovranità quanto una visione del mondo alternativa ma anche profondamente differente, fatta di uguaglianza e rifiuto di ogni violenza, fisica e verbale. Proteggere le vittime è solo il primo passo. Se permetteremo a questa voce terribile di continuare a risuonare nei nostri corpi come una campana a morto, avremo perso i nostri diritti civili, il nostro diritto di esistere e la nostra dignità di persone.
Di tutti questi diritti, quello di camminare per strada tenendosi per mano è la manifestazione evidente che la complementarietà dei corpi è solo negli occhi di chi guarda, non di chi vive.