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L’obbligo vaccinale per il personale sanitario si applica alle donne in gravidanza?

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Né il D.L. n. 44/2021 né la L. n. 76/2021 di conversione, nel dettare l’obbligo vaccinale anti Covid-19 per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario, hanno previsto una norma specifica sull’eventuale estensione dell’obbligo per la donna in gravidanza che rientra nella categoria professionale di cui all’art. 4 del decreto-legge. In assenza di una previsione espressa, pare potersi affermare che tale obbligo non sussiste per l’operatrice sanitaria in gravidanza.

L’obbligo vaccinale come deroga alla regola del consenso informato al trattamento sanitario

L’obbligo vaccinale previsto dall’art. 4, D.L. n. 44/2021 conv. dalla L. n. 76/2021, che ha come destinatari gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario ex art. 1, comma 2, L. n. 43/2006, rappresenta una deroga alla disciplina generale sul consenso informato al trattamento sanitario.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, “il principio del consenso informato del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico è qualificabile come vero e proprio diritto della persona, che trova fondamento nei principi espressi negli artt. 2, 13 e 32 Cost.”(cfr. Corte cost., n. 242/2020 e Corte cost. n. 207/2018). In particolare, l’art. 32, comma 2, Cost. stabilisce: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Precedentemente la Corte costituzionale aveva affermato che il principio del consenso informato è sintesi di due diritti fondamentali: autodeterminazione e salute; infatti, “se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione; discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute” (cfr. Corte cost., n. 438/2008 e Corte cost. n. 253/2009).

A livello di fonti ordinarie, l’art. 1, L. n. 219/2017 prevede che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne nei casi espressamente previsti dalla legge”.

Alla luce dell’inquadramento di cui si è ora detto, l’obbligo vaccinale anti-Covid 19 rappresenta senz’altro una deroga al principio consensualistico al trattamento sanitario. Tale deroga è, come noto, prevista dall’art. 4, D.L. n. 44/2021, conv. dalla L. 28 maggio 2021, n. 76, che recita, al comma 1, quanto segue:

In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della L. 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2”.

Lo stesso comma 1, al 2° e al 3° per., stabilisce: “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano”.

Il comma 2 dell’art. 4 consente un’esenzione dall’obbligo vaccinale, “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”. Ove sussistano tali condizioni, cessa l’obbligo di vaccinazione, che può essere omessa o differita.

I beni coinvolti dalla deroga al principio consensualistico al trattamento sanitario nei confronti delle donne in gravidanza

Preso atto della scelta del legislatore, occorre domandarsi se la previsione dell’obbligo vaccinale prevista dall’art. 4, D.L. n. 44/2021 conv. (la quale, come si è detto, deroga al principio del consenso informato) si applichi anche alla donna in gravidanza.

Per rispondere al quesito occorre considerare che l’esercizio del diritto al consenso informato, quando la titolare è una donna in gravidanza, non esplica i suoi effetti solo sul diritto della donna alla scelta terapeutica, come avviene per ogni altro soggetto di diritto, ma ha anche ricadute sul suo diritto alla maternità e sul diritto del concepito ad essere potenziale o effettivo destinatario degli effetti di un trattamento sanitario somministrato alla madre, previa acquisizione del di lei consenso.

Si tratta, a ben vedere, di due situazioni che hanno autonoma rilevanza giuridica rispetto al diritto della donna all’autodeterminazione terapeutica; infatti:

- la maternità è situazione cui l’ordinamento italiano riconosce una meritevolezza di tutela specifica (art. 31 Cost.) e rafforzata. A titolo di esempio, basti ricordare, nell’ambito del diritto penale, la circostanza aggravante comune di cui all’art. 61, n. 11-quinquies c.p. (aumento della pena fino a un terzo per aver commesso un delitto non colposo contro la vita e l’incolumità individuale o contro la libertà personale in danno di donna in gravidanza) nonché la circostanza aggravante speciale prevista in materia di stalking di cui all’art. 612-bis, comma 3, c.p. (aumento della pena fino alla metà se gli atti persecutori sono commessi contro donna in gravidanza);

- il concepito, dal canto suo, gode di una tutela giuridica autonoma da quella della madre. Infatti:

a) l’embrione umano è titolare di una dignità meritevole di tutela che discende dall’art. 2 Cost. (Corte cost. n. 229/2015; Corte cost. n. 324/2013), da cui deriva che, “quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico” (Corte cost. n. 229/2015);

b) la tutela accordata all’embrione può soccombere rispetto ad altri interessi, “ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti” (Corte cost., n. 229/2015);

c) il nascituro è titolare, tra gli altri diritti, del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 Cost. Si legge, ad es., in Cass. civ., Sez. III, n. 10741/2009: “il nascituro o concepito risulta comunque dotato di autonoma soggettività giuridica (specifica, speciale, attenuata, provvisoria o parziale che dir si voglia) perché titolare, sul piano sostanziale, di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, il diritto alla salute o integrità psico-fisica, il diritto all’onore o alla reputazione, il diritto all’identità personale…”;

d) “Lo stesso diritto alla salute, che trova fondamento nell’art. 32 Cost. – per il quale la tutela della salute è garantita come fondamentale diritto dell’individuo (oltre che interesse della collettività) – non è limitato alle attività che si esplicano dopo la nascita od a questa condizionato, ma deve ritenersi esteso anche al dovere di assicurare le condizioni favorevoli nel periodo che la precedono, volte a garantire l’integrità del nascituro” (così già per Cass. civ., Sez. III, n. 11503/1993).

Con espresso riferimento al nesso tra diritto della donna al consenso informato e diritto alla salute del concepito, la menzionata sentenza n. 10741/2009 ha riconosciuto violato il diritto alla salute del nascituro, nato malato, non solo perché, in quel caso, i curanti non adempirono l’obbligo di non somministrare medicinali potenzialmente dannosi, ma anche perché non informando compiutamente la madre, non le permisero l’esercizio del diritto al consenso informato. Rispetto a tale obbligo di informare, si legge in sentenza, che la violazione della regola del consenso informato, se concretamente realizzata nel rapporto tra madre e personale sanitario, “si riflette anche nei confronti di P.F. [iniziali del nome del nascituro, n.d.r.], quale terzo destinatario di effetti protettivi in relazione al rapporto madre-medico”.

L’obbligo vaccinale per i professionisti sanitari si applica alle donne in gravidanza?

Alla luce di quanto fin qui detto, è corretto affermare che, nel diritto vivente, il diritto del consenso informato al trattamento sanitario della madre in gravidanza non mira solo a tutelare la donna, ma anche la maternità e la salute del nascituro, quest’ultima intesa non solo come diritto alla cura ai sensi dell’art. 32, comma 1, Cost., ma anche come diritto a essere curato nel rispetto del principio consensualistico, ai sensi dell’art. 32, comma 2, Cost. La circostanza che il concepito non possa esprimere il consenso non opera certamente nel senso di escludere l’applicabilità, nei suoi confronti, del principio consensualistico alla cura; è la madre, infatti, che anche nell’interesse del concepito compirà le scelte di cura (o di astensione dalla cura) che riterrà più opportune.

Da tali premesse, discende, ad avviso di chi scrive, che, in assenza di una previsione di legge, la deroga al principio del consenso informato prevista nell’art. 4, D.L. n. 44/2021 conv., non può essere interpretata estensivamente come rivolta anche alla donna in stato di gravidanza. Ella, infatti, non solo è portatrice, come qualsiasi altro consociato, di un diritto alla libertà di cura (cui il D.L. deroga), ma anche di un diritto alla maternità e di un diritto/dovere di compiere, previa informazione, le scelte terapeutiche che coinvolgono, oltre a se stessa, il concepito, titolare anche in proprio della tutela accordatagli dagli artt. 2 e 32 Cost.

Pertanto, il legislatore, ove avesse inteso imporre un obbligo vaccinale alla donna in stato di gravidanza, lo avrebbe previsto per legge, come invece non ha fatto neppure in sede di conversione del D.L. n. 44/2021.

Riferimenti normativi:

Art. 4, D.L. n. 44/2021 conv. dalla L. n. 76/2021

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