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Convenzione di Istanbul: cos'è e perché difenderla. Incontro a Ravenna in vista del presidio di piazza giovedì 1° luglio

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Serata di formazione sulla Convenzione di Istanbul, ieri sera nel giardino del centro sociale Spartaco in via Chiavica Romea a Ravenna.

L’incontro, organizzato dalle attiviste di Non Una Di Meno Ravenna, con il supporto della Casa delle Donne e Linea Rosa, è stato realizzato in vista della manifestazione di piazza prevista per il prossimo giovedì 1° luglio alle 21 in piazza del Popolo, data nella quale il premier turco Erdogan ha dichiarato di voler far uscire il suo Paese dall’accordo internazionale contro la violenza sulle donne.

Per approfondire la conoscenza della Convenzione, che il 27 giugno compie 10 anni, sono state coinvolte tre avvocate ravennati, Sonia Lama, Cristina Magnani e Monica Miserocchi.

L’Italia la ratificò 8 anni fa, ma ampie parti di questo accordo internazionale restano ancora oggi lettera morta. Ciò che si teme di più è che l’annuncio turco possa essere solo il primo passo verso un progressivo impoverimento dei risultati faticosamente raggiunti dall’attivismo femminista internazionale, con il ritiro della Turchia seguito da quello di altri Stati europei con posizioni reazionarie, come Polonia e Ungheria.

Durante la serata si è parlato della portata più innovativa di questo accordo internazionale: quello di riconoscere la violenza contro le donne come un fenomeno radicato nella società e di metterla in relazione con le disparità di diritti esistenti tra i generi, inserendo il diritto delle donne a non subire violenza tra i diritti umani.

“Se all’epoca dell’approvazione si riuscì a svincolarsi dalle sentinelle del patriarcato, oggi stiamo assistendo ad un loro risveglio e se non ci saranno improvvisi cambiamenti di rotta, dal 1° luglio la Turchia sarà fuori dalla Convenzione di Istanbul”, ha spiegato Lama.

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Un altro dei temi cardine affrontato nella serata è stato quello di diventare capaci di riconoscere la violenza maschile contro le donne, fatto che può sembrare banale ma finisce per non esserlo affatto. Tutti siamo capaci di vedere la violenza quando ci sono ferite sanguinanti, molto meno quando si tratta di minacce, atti persecutori, limitazione della libertà personale. Ed ecco che sui giornali e alla tv si finisce per parlare di “gelosia”, finendo per confondere amore con violenza e violenza con semplice conflitto tra coniugi.

Come hanno sottolineato le tre professioniste, questo non vale solo per la gente comune, ma anche per le forze dell’ordine che raccolgono le denunce, le assistenti sociali che offrono sostegno alle vittime, i magistrati che giudicano gli uomini violenti.

Per impreparazione, mancanza di formazione specifica e pregiudizi culturali profondamente radicati, queste figure rischiano di agire la cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, cioè una seconda occasione di abuso che per le vittime si concretizza nel non venire credute, veder minimizzati i fatti che raccontano, non ricevere supporto, vedersi sottrarre i figli in quanto considerate “madri alienanti”, quando in seguito ad una separazione i figli si rifiutassero di vedere il padre violento.

Nei racconti delle tre avvocate, i tribunali sono pieni di casi come questi, fenomeno che scoraggerebbe fortemente le donne a denunciare e ad intraprendere percorsi di uscita dalla violenza.

“Reperire i fondi per la formazione – ha concluso Lama – è un compito degli stati firmatari, lo stabilisce la Convenzione stessa. La difesa delle donne dalla violenza è anche un fatto di soldi che si mettono a disposizione per dare attuazione ai principi formali delle leggi”.

Cristina Magnani, avvocata di Linea Rosa, ha poi passato in rassegna il cosiddetto Rapporto Ombra elaborato dal Grevio, un organismo indipendente del Consiglio d’Europa che vigila sull’applicazione della Convenzione di Istanbul tra gli stati aderenti.

In Italia, evidenzia il rapporto, ci sarebbe un profondo scollamento tra le leggi, che nel corso degli anni hanno subìto una costante implementazione positiva e la loro reale applicazione, a causa di una società civile e di istituzioni fortemente assestate su una visione familiaristica e patriarcale.

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“Il rapporto ombra sottolinea – ha spiegato Magnani – che le politiche per le donne sono troppo spesso intese come politiche della famiglia e delle madri. Non quindi della donna in quanto tale, ma di una donna vista in funzione e servizio della famiglia e dei figli, una visione che strumentalizza le donne”.

“Tornando al discorso della vittimizzazione secondaria – ha poi aggiunto – questa è l’esito della visione sociale arretrata stigmatizzata dal rapporto ombra. Nei tribunali si assiste quotidianamente alla minimizzazione delle azioni violente agite dagli uomini sulle donne proprio a causa di questo substrato culturale. Inoltre le donne spesso nei processi vengono responsabilizzate degli abusi subiti. Per questo l’Italia è stata sanzionata già due volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.

Si ricordi, ad esempio di questo, il caso dello stupro di gruppo alla Fortezza Da Basso a Firenze nel 2015, che è l’ultimo caso per cui l’Europa ha sanzionato l’Italia.

“La Convenzione ha una vita brevissima – ha chiosato l’avvocata Monica Miserocchi –, cosa sono 10 anni per un cambiamento di mentalità? Questo ci deve dare speranza, dobbiamo continuare a parlarne perché principi così forti e di rottura come quelli iscritti nella Convenzione possano poi tradursi e portare frutti all’interno della società. Ma si tratta di processi lunghi, non bisogna illudersi di vedere rapidamente i risultati delle proprie azioni”.

 

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