Zehra Dogan, l’artista curda e la graphic novel realizzata nel carcere turco- Corriere.it
«Ho un’anima zingara che riesce ad adattarsi in qualsiasi posto, e tuttavia in carcere una cosa mi lasciava senza forze: vedere i bambini stare male. Le madri chiedevano aiuto, nessuno le ascoltava e se i guardiani alla fine arrivavano, portavano via i bambini in ospedale, senza le madri. Era insopportabile». Zehra Dogan, classe 1989, giornalista, fondatrice di un’agenzia di stampa femminile e artista, ha passato tre anni in carcere, anche in quello famigerato di Diyarbakir, nella Turchia orientale. Martedì 6 luglio Zehra è al Pac per presentare la graphic novel «Prigione n.5» (BeccoGiallo), il diario di quegli anni (le opere in mostra fino al 19 settembre).
Perché è stata arrestata?«Per le notizie che facevo uscire dalla zona di combattimenti dove mi trovavo. Bastava essere curda e condividerle sui social. E poi mi hanno contestato un disegno che raccontava le violenze dell’esercito turco nella città di Nusaybin».
Per la sua liberazione si sono spesi grandi artisti come Ai Weiwei e Banksy. Le pressioni servono?«La solidarietà dall’esterno è molto importante. Non cambia la pena che devi scontare, ma cambia il modo di resistere dentro il carcere. A me ha dato le motivazioni per continuare a dipingere. Wewei e Banksy hanno reso famoso il mio nome, ma mi emozionava anche la solidarietà delle persone comuni come i bambini di un villaggio che hanno usato un mio disegno per farne altri».
«ArtReview» l’ha classificata fra i cento artisti più influenti al mondo. Ne sente il peso?«Non ha senso essere concorrenti nell’arte. Non sono migliore di qualcun altro. Ma allo stesso tempo se neghi questa lista diventi ancora più famosa».
Come cambia la vita dopo tre anni di reclusione?«Prima ero una giornalista e stavo per laurearmi in Belle Arti. Quando sono uscita avevo una fama internazionale, senza saperlo. Tutti gli occhi erano su di me, mi chiamavano da tutto il mondo per progetti e interviste. Un cambiamento improvviso di cui non ho vissuto il processo e quindi ho sentito una pressione difficile da gestire. Continuo a fare arte ma sento forte la responsabilità di portare avanti la lotta per le donne curde».
Come riusciva a disegnare in carcere?«Sui vestiti che mi portava mia madre o sulle lettere che ricevevo. Per i colori usavo sangue mestruale o cibo come il prezzemolo. Da semplici materiali sono diventati forme stesse di espressione, simbologie della mia vita. I fogli uscivano sotto le scarpe o dentro il vestito di chi veniva a trovarmi».
Ha fiducia nel futuro?«Più che il continuo tradimento delle promesse di autonomia, per i curdi la cosa più grave è la distruzione della loro cultura. Tutto è stato bruciato. Tramandiamo la nostra storia ormai solo attraverso i racconti. Ma negli ultimi quarant’anni sono aumentate le persone che cercano di ricreare una memoria basata su ecologia, libertà delle donne, diritti dei popoli. Se noi curdi fossimo stati uniti avremmo già potuto vincere. Ci sono radici che stanno crescendo, ma ci vorrà tempo».
Martedì 6 luglio alle 183.0 al Pac di via Palestro l’artista e attivista curda Zehra Dogan presenta la sua graphic novel «Prigione n. 5» (BeccoGiallo), diario della sua detenzione nel carcere numero 5 di Diyarbakir (Turchia). Intervengono Federico Zaghis, la curatrice della mostra allestita al Pac con i disegni originali Elettra Stamboulis, e il direttore del Festival dei Diritti Umani Danilo De Biasio. Le opere di Zehra Dogan sono esposte nella Project room del Pac sotto il titolo «Il tempo delle farfalle», mart- dom ore 10-19.30; giov fino alle 22.30. Fino al 19/9.
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6 luglio 2021 | 07:23
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