con quell’ombelico fece cadere molti muri bigotti- Corriere.it
Nulla di ideologico in lei, ma tutto ispirato a un senso di libertà, ad un naturale contrasto con ogni catena. Come se la sua energia vitale fosse incontenibile dentro i recinti del senso comune del tempo dato, quale che fosse. Non aveva nessun birignao, nessuna pretesa di insegnare agli altri come vivere, amare, pensare. Non era in cattedra, mai. Era sorella, non preside. Portava a spasso la sua energia contagiosa come un dono da dispensare con allegria. Era una cornucopia di spensieratezza, di buoni sentimenti, che non sono ancora una bestemmia, e, insieme, una inarrestabile sirena della libertà di vivere la propria vita come lo si vuole. Ciò che ogni società dovrebbe permettere, rispettando e non tollerando, ogni comportamento non lesivo delle libertà altrui. Raffaella si è sempre chiesta perché mai fosse diventata un’icona gay, anzi ha detto di volere questa domanda iscritta come epigrafe sulla sua tomba. La risposta, che credo conoscesse benissimo, stava nella dimensione del tutto naturale del suo linguaggio del corpo, del suo modo di muoversi, del suo considerare stupefacente ogni pregiudizio del quale, senza bisogno che lo dicesse, era evidente non comprendesse e non accettasse la natura e la spiegazione.
Il Tuca Tuca , con corredo di legittimazione di esposizione dell’ombelico, fu avversato dalla chiesa e poi sdoganato da un altro rivoluzionario inconsapevole che si chiamava Alberto Sordi. Se si poteva mandare in onda quel ballo in televisione il sabato sera, sulla prima rete, se potevano farlo due icone popolari come Sordi e la Carrà, voleva dire che il mondo stava cambiando. Questo fu il messaggio che gli italiani capirono. Significava che il Vaticano, la cui vibrante protesta aveva imprigionato l’ombelico, non era più in sintonia con un paese, e con lo stesso mondo cattolico, che la televisione, anche quella prudente di quegli anni, stava contribuendo a secolarizzare, a liberare da pregiudizi e divieti. «Come è bello far l’amore da Trieste in giù» conteneva questi versi: «Se per caso cadesse il mondo Io mi sposto un po’ più in là Sono un cuore vagabondo Che di regole non ne ha La mia vita una roulette I miei numeri tu li sai Il mio corpo è una moquette Dove tu ti addormenterai Ma girando la mia terra Io mi sono convinta che Non c’è odio non c’è guerra Quando a letto l’amore c’è Com’è bello far l’amore da Trieste in giù Com’è bello far l’amore io son pronta, e tu? Tanti auguri a chi tanti amanti ha Tanti auguri in campagna ed in città Com’è bello far I’amore da Trieste in giù L’importante e’ farlo sempre con chi hai voglia tu E se ti lascia lo sai che si fa Trovi un altro più bello Che problemi non ha.» «Comprendi l’importanza?» avrebbe detto Mario Pio.
Questa canzone, con un testo che sembra scritto da Serge Gainsbourg, è stata cantata a squarciagola, con l’allegria che le parole contengono- un inno alla vita senza recinti- da milioni di italiani che, nel farlo, sancivano la caduta di tanti inutili muri bigotti. Era il 1978. La televisione era da poco a colori e in Italia era ancora vietato abortire legalmente. Ma Raffaella trasmetteva con allegria il valore del piacere. Lo faceva senza una conferenza, con una canzone. Lo faceva parlando al popolo, non rafforzando convinzioni già maturate nei più consapevoli. Era un messaggio Peace and Love: «Non c’è odio non c’è guerra /Quando a letto l’amore c’è». Ma era rivolto alla mitica casalinga di Voghera, non ai ragazzi con i fiori nei capelli che affollavano l’Isola di Wight. E il suo micidiale ombelico, un dardo contro l’oscurantismo applicato alla libertà del corpo, è del 1974, l’anno della vittoria del No al divorzio.
A Maria Volpe, sul Corriere,Raffaella ha detto, a proposito di quella performance in Milleluci: «Ma evidentemente, senza rendermene conto, stavo rompendo gli schemi. Forse perché ballavo in modo libero, forte, comunicavo energia, non una sensualità eccessiva. E dunque è stato più facile far passare un messaggio di libertà. Mentre ballavo non pensavo: guardate come sono brava. Pensavo: dai, venite a far casino con me». E anche la sua televisione da conduttrice, a cominciare da Carramba che sorpresa, era ispirata all’idea di ricongiungere amore, senza chiedere la natura del legame che lo definisce. «Dai venite a far casino con me», detto da una donna che intanto era diventata un’istituzione e un’icona, era un messaggio fortissimo, un incitamento all’energia, al non accontentarsi mai, a non accettare catene.
In fondo un invito alla libertà. Poco importa come lo definiamo e la misura delle parole che usiamo per descriverlo. È un fatto certo che quella bambina e ragazza cresciuta in famiglia da donne forti della loro autonomia ha trasmesso nelle case degli italiani un messaggio di serena e consapevole indipendenza, di negazione delle brutture dei divieti moralistici e della tendenza pericolosa di ognuno a farsi giudice della vita altrui.È un fatto che ci fosse una sintonia oggettiva, nel caso di Raffaella anche soggettiva, tra le sue idee e quelle delle donne che, nello stesso tempo, stavano demolendo, nella società, i vari strati del soffitto di cristallo che gravava e in verità ancora grava su di loro. «Com’è bello far I’amore da Trieste in giù / L’importante e’ farlo sempre con chi hai voglia tu /E se ti lascia lo sai che si fa / Trovi un altro più bello /Che problemi non ha». Queste parole diventarono la colonna sonora gioiosa, spensierata, di un paese che solo pochi anni prima aveva abolito il reato d’adulterio e che dovrà aspettarne altri tre per vedere decadere l’infamia delle disposizioni sul delitto d’onore. «Comprendi l’importanza?».
Raffaella Carrà, 1943-2021
5 luglio 2021 (modifica il 6 luglio 2021 | 16:07)
© RIPRODUZIONE RISERVATA