Il costo economico e politico della crociata anti-LGBT in Polonia e Ungheria
Dell’atteggiamento verso i diritti delle donne e delle minoranze sessuali da parte della coalizione che dal 2015 governa la Polonia si è scritto molto. Tra le altre cose, l’esecutivo capeggiato da Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e Giustizia, PiS) ha agito per limitare drasticamente il diritto all’aborto e ha creato un clima semi-istituzionale di stigmatizzazione e emarginazione per gli individui LGBT.
Questa posa ha portato molto spesso Varsavia a scontrarsi con le istituzioni Ue, che non hanno lesinato critiche all’esecutivo polacco. Uno degli scontri più iconici di questo conflitto ha riguardato l’istituzione di aree “LGBT-free” da parte di circa un centinaio di amministrazioni regionali e comunali nel corso degli ultimi due anni, a cui il Parlamento europeo aveva reagito dichiarando l’intera Ue “area di libertà LGBT” lo scorso marzo. Ora, secondo Bloomberg, Bruxelles starebbe per lanciare una procedura d’infrazione per sanzionare questa iniziativa di aperta discriminazione.
Il conflitto è finora rimasto sul piano etico-politico.
L’attuale governo incarna l’anima più tradizionalista, rurale e conservatrice dell’elettorato polacco e ha posto la lotta contro le donne, le minoranze sessuali e “l’ideologia gender” al cuore della propria azione politica. La sfida è quindi in primis tra le due facce del paese centro-europeo: il segmento più urbano e progressista della popolazione, per quasi un decennio rappresentato dalla Piattaforma civica di Donald Tusk, contrapposto a quello più reazionario e nazionalista, che sostiene il Pis e i suoi alleati.
Quest’anno stanno però facendosi strada nel dibattito pubblico anche riflessioni più pragmatiche: i costi economici di questa discriminazione sistematica. Uno dei primi a fare marcia indietro pubblicamente è stato Wojciech Wilk, sindaco di Krasnik, cittadina di poco più di 30 mila abitanti che nel 2019 si era proclamata libera dall’ideologia LBGT. Krasnik ha perso molti finanziamenti dall’estero – specie dalla Norvegia – e si è guadagnata una brutta reputazione a livello continentale, ha ammesso Wilk, che ora si pente della scelta.
I conservatori polacchi stanno quindi venendo costretti a chiedersi quanto costi la loro crociata in difesa della famiglia tradizionale (quello che le femministe chiamano: patriarcato).
Nel dibattito è intervenuto anche Bix Aliu, incaricato d’affari presso l’ambasciata Usa in Polonia, che al momento svolge anche la funzione di ambasciatore ad interim – la trumpiana Georgette Mosbacher, partita a gennaio, ancora deve essere rimpiazzata.
A fine giugno in un tweet (in polacco) Aliu ha ripreso un recente report di Open For Business – una “coalizione” di 36 aziende multinazionali, tra cui Facebook, Microsoft e Linkedin, battezzata nel 2015 per combattere l’esclusione delle persone LGBT. In questo report, incentrato sull’Europa centro-orientale, si sostiene che l’emarginazione delle minoranze sessuali costi ai quattro paesi più importanti della regione – Polonia, Ungheria, Romania e Ucraina – più di 8,6 miliardi di euro all’anno. Per la Polonia la cifra si aggira tra 1.2 e 2.6 miliardi.
Il report, finanziato da Google, ha preso questi quattro paesi come casi studio per stimare la perdita economica che i governi arrecano alle proprie economie emarginando attivamente le minoranze sessuali. Secondo gli autori, i paesi dell’Europa centro-orientale perdono sia investimenti dall’estero che manodopera qualificata, a causa di queste politiche discriminatorie. Allo stesso tempo, l’azione di governi come quelli polacco e ungherese infanga l’immagine dei propri paesi, contribuendo a limitare lo sviluppo dell’economia locale. Il report stima che un miglioramento del 10% dell’inclusione delle minoranze sessuali si tradurrebbe in un aumento di circa 3700 euro del pil pro capite.
La perdita di manodopera qualificata è una delle criticità più neglette da parte dei leader sovranisti. Statisticamente, a un più alto livello di educazione corrisponde anche una maggiore tolleranza per la diversità – in parte perché le università sono quasi tutte nei centri urbani più popolosi, tendenzialmente più eterogenei e inclusivi, sotto vari aspetti, dei centri rurali.
In sistema economico globalizzato e interconnesso come quello odierno escludere per motivi ideologici una parte della popolazione, peraltro molto qualificata, è un lusso che la Polonia – economia emergente che però arranca sul piano demografico – non può permettersi.