Flore Vasseur: La mia crociata con Marion (Cotillard)
«Eravamo a un evento di attivisti, tre anni fa, e tutti si agitavano: “Arriva Marion Cotillard, arriva Marion Cotillard!”. La mia reazione? Sbuffavo, le celebrity proprio non mi interessano» ride oggi Flore Vasseur, regista di Bigger Than Us, il documentario ambientalista prodotto dalla star francese e presentato al Festival di Cannes nella neonata sezione Cinema for the Climate. «È stata lei a rompere il ghiaccio: “Questo è il mio numero, pranziamo assieme domani?”. Mi ha salvato la vita: stavo finendo in bancarotta per questo progetto e invece, improvvisamente, si sono aperte tutte le porte».
Non è una moda
Flore si è decisamente ricreduta sulla questione “celeb”: una causa importante val bene un compromesso… «Se riusciremo a far capire che è davvero cool solo chi ha sensibilità per l’ecologia, vinceremo. E poi Marion è al di sopra di ogni sospetto, la sua sensibilità non è certo dettata dalla moda: si impegna concretamente da oltre vent’anni, non avete neppure un’idea di quante battaglie ha sostenuto» dice la regista, sincera e pragmatica. E molto simpatica: «Lo so, lo so, denuncio il capitalismo e poi qui a Cannes mi ci ritrovo in mezzo, però solo dall’interno posso combatterlo» spiega, prevenendo le obiezioni.
«Sono una ex businesswoman: a fine anni Novanta mi ero trasferita dalla Francia a New York, avevo fondato una società di marketing con grandi risultati, ma dopo l’11 settembre (ho assistito all’attacco al World Trade Center dalle finestre del mio ufficio) ho capito che non potevo più vivere nello stesso modo. Mi sono sentita quasi in colpa, pensando di aver contribuito in qualche modo, con il mio stile di vita, a una simile tragedia».
Segno del destino
E così è diventata giornalista, ha scritto quattro libri di successo, ha lavorato – anche per un documentario – con Edward Snowden, il noto whistleblower, segnalatore di illeciti, statunitense. «Ma ero arrivata a un punto morto, non avevo più energia. Un giorno stavo parlando con i miei figli (all’epoca avevano 7 e 10 anni), che mi hanno chiesto: “Che vuol dire: il pianeta morirà?”. Lo stesso giorno – segno del destino – un’amica mi ha mandato un video su Melati Wijsen… Era il 2016, prima del fenomeno Greta Thunberg. Ho capito che quella dell’ambientalismo poteva essere la mia strada per fare la differenza nel mondo».
È partito così il progetto di Bigger Than Us, poi provvidenzialmente supportato dalla Cotillard, incentrato sulla figura di Melati, oggi ventenne. Così giovane, eppure già una veterana: ha iniziato quando aveva 12 anni – assieme alla sorella minore Isabel – a battersi contro il consumo di plastica nella natia Bali.
Viva i giovani
«I giovani sono più avanti di noi per quanto riguarda questi temi: sono stati educati diversamente. Per quanto il Covid si sia rivelato una bella sveglia per la mia generazione, un grande acceleratore di consapevolezza: abbiamo finalmente capito che non c’è più tempo per essere pessimisti, come sostiene da anni il ricercatore ambientale Lester R. Brown: dobbiamo agire prima che sia troppo tardi» osserva Vasseur.
In Bigger Than Us, Melati viene seguita dalla machina da presa mentre incontra attivisti suoi coetanei nei quattro angoli del pianeta: dall’Indonesia a Rio, dal Malawi al Colorado e a Lesbo. E non solo di emergenza climatica si parla: questi giovani combattono per i rifugiati, i diritti delle donne, la libertà di parola… E, oltre alla passione, quello che li accomuna è l’azione, senza nulla di velleitario (spesso, un errore di gioventù). «Corrono un unico rischio» avverte la regista: «Quello di abbandonare la lotta perché si sentono soli… Ecco, sta a noi “grandi” far sì che non succeda».
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