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Fragole amare - Progetto Melting Pot Europa

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Huelva, Andalusia, angolo sud-occidentale della Spagna, uno dei principali “orti” europei di frutta e verdura. A guardare dall’alto la provincia di Huelva è una enorme distesa di teli di plastica. Sono le serre delle piantagioni di fragole, lamponi e mirtilli.

Leggendo i dati pubblicati nel recento rapporto "E(U)xploitation" [1] redatto dall’associazione ambientalista Terra!, in Andalusia si produce il 97% delle fragole coltivate in tutta la Spagna e il 99,7% delle piantagioni si trova nella zona di Huelva.

La Spagna ne è il primo esportatore a livello mondiale. A raccogliere l’"oro rosso"
 [2] sono migliaia di donne, in maggioranza marocchine e dell’est Europa [3], che vengono abusate, stuprate, umiliate e sfruttate dai loro "capi".

Se ne torna a parlare sui media internazionali grazie alla preziosa inchiesta di Stefania Prandi e Nikolaj Houmann Mortensen, frutto della collaborazione tra la testata investigativa danese Danwatch e Al Jazeera. Prima di loro, nel 2018, "Rape in the fields", un’altra inchiesta giornalistica curata dalla rivista tedesca Correctiv, RTL Nachtjournal e BuzzFeed News, aveva portato all’attenzione dell’opinione pubblica il fenomeno dello sfruttamento, degli abusi e delle violenze sessuali nell’industria spagnola delle fragole [4]. Ma da allora poco o nulla è cambiato.

La nuova investigazione è il risultato di mesi di ricerche e 10 giorni trascorsi a Huelva, nonostante la stretta sorveglianza nell’area e la paura di parlare. Sono state raccolte le testimonianze di 16 lavoratrici agricole, tutte contrattualizzate con i sette maggiori produttori di frutti rossi.

"La maggior parte delle lavoratrici ha raccontato le umiliazioni quotidiane, come le punizioni per le pause per andare in bagno, le azioni antisindacali e la scarsa o inesistente protezione contro il COVID-19. Molte hanno riferito di molestie sessuali e di essere state ricattate in cambio di sesso", si legge nell’inchiesta.

Leggendo i racconti delle donne, le loro parole di dolore e coraggio, pare quasi di vederle, quelle donne, che piangono in mezzo ai teli di plastica, mentre vengono umiliate, abusate, senza nessuna tutela giuridica e sanitaria, che vivono in container e baracche, le "chabolas", tra le serre in condizioni degradanti sotto il continuo ricatto di questi omuncoli/caporali.

Molte di loro hanno paura a denunciare perché se mollano e se ne vanno perdono l’opportunità di lavorare in Spagna. Lo definisce un accordo bilaterale di "contratti in origine" (contratación en origen) tra Marocco e Spagna che solo nel 2019 ha visto quasi 20.000 donne marocchine raccogliere fragole spagnole. Si tratta del cosiddetto decreto GECCO (Gestión colectiva de contrataciones en origen) del Ministero del Lavoro, che dal 2009 regola i contratti in origine.

Nell’inchiesta si sottolinea che l’agenzia di reclutamento statale marocchina ANAPEC deve garantire che i lavoratori e le lavoratrici ritornino in Marocco al termine della stagione.

"La selezione delle lavoratrici avviene direttamente in Marocco" si spiega nel rapporto E(U)ploitation, "con una trasferta di tre giorni di una delegazione delle principali associazioni di produttori della fragola e dei frutti rossi, e in collaborazione con l’ANAPEC, l’organismo che pubblica l’offerta di lavoro e i requisiti per partecipare alla selezione: avere tra i 25 e i 45 anni, essere sposate, vedove o divorziate, venire da zone rurali, aver lavorato precedentemente nel settore agricolo e avere figli a carico minori di 14 anni".

Studiosi, ONG e sindacati affermano che questo ultimo criterio di selezione fornisce ad ANAPEC maggiori garanzie che una volta terminato il “lavoro” se ne tornino a casa.

Nei mesi scorsi con la chiusura della frontiere a causa dalla pandemia moltissime lavoratrici e lavoratori stagionali sono rimasti intrappolati nelle zone di produzione agricole spagnole per settimane. Come rivela un’altra inchiesta "Invisible workers, unreported europe" pubblicata nel luglio 2020 [5] nella provincia di Huelva la raccolta delle fragole produce ricavi per mezzo miliardo di euro all’anno, che come di consuetudine non sono minimamente ridistribuiti.

Chi lavora nel settore guadagna circa 40 euro al giorno, non ha accesso all’elettricità, ai servizi igienico-sanitari o all’acqua potabile, senza misure preventive contro il COVID-19. E’ sottoposto a condizioni brutali [6], nonostante la pioggia di milioni di euro che le aziende del settore agricolo ricevono dalla "Politica agricola comune (Pac)" dell’Unione europea, che ne impiega circa il 39% del bilancio.
Questa "ha lo scopo di sostenere gli agricoltori e immette nel settore circa 60 miliardi di euro all’anno. Ma le condizioni lavorative delle persone impiegate in queste aziende agricole non vi sono nemmeno menzionate", denuncia Euronews.

Le continue denunce di abusi sul lavoro e sessuali sulle lavoratrici stagionali vengono confermate da un altro indicatore. Josefa Mora Gomez, assistente sociale presso l’Azienda Sanitaria locale, intervistata nell’inchiesta di Danwatch e Al Jazeera, dice che “nella cittadina di Palos de la Frontera, completamente circondata dalla coltivazione di fragole, il tasso di aborto è sempre aumentato notevolmente quando era in corso la stagione delle fragole”.

"C’è un picco nel tasso di aborto, con la maggior parte delle richieste provenienti da donne marocchine, rumene e bulgare", spiega l’assistente sociale. “Il 90% delle domande a Palos e nella vicina città di Moguer provenivano da lavoratrici migranti. Molte delle domande potrebbero essere dovute a stupri”.

Angels Escrivà, professoressa associata presso l’Università di Huelva e parte della rete Mujeres 24H sostiene che inizialmente l’industria delle fragole reclutava uomini marocchini. Poi l’apertura di nuovi sindacati, la sindacalizzazione successiva e alcune rivolte negli anni 2000 hanno fatto preferire le donne pensando fossero più “mansuete”, ma non è così.
Con grande coraggio e forza si organizzano e resistono. Ne è un esempio Jornaleras de Huelva en Lucha (lavoratrici giornaliere che combattono), un sindacato di base [7] nato nel 2018.

Il 29 giugno sono state ricevute da Yolanda Díaz, Ministra del Lavoro e dell’Economia Sociale per un incontro congiunto con varie avvocatesse, attiviste e studiose. Un passaggio che il collettivo definisce “un passo enorme per la loro lotta per i diritti delle lavoratrici giornaliere”.

La ministra si è impegnata a rafforzare le ispezioni e a dare priorità a una maggiore vigilanza per prevenire continue violazioni sistematiche dei nostri diritti come donne e come lavoratrici, che era il nostro obiettivo principale della nostra campagna Come con derechos“, scrivono le attiviste che hanno presentato alla Díaz anche un recente rapporto realizzato nel maggio 2021 dalla Brigada de observación feminista ¡Abramos las cancelas!, in cui vengono fornite relazioni dettagliate sulle diverse violazioni dei diritti umani e in materia di lavoro, e proposte concrete per cambiare una situazione che non può essere invertita perché permanente e strutturale [8].

Dal 2018 sono molte le donne che hanno intrapreso azioni legali contro i produttori spagnoli di fragole. Le prime sono state 10 donne marocchine contro “Doñaña 1998” accusato di aggressione, molestie sessuali, stupro e traffico. Altre 4 poi hanno fatto causa ad un altro per molestie sessuali, sfruttamento e cattiva condotta in relazione all’occupazione e ai contratti.

C’è questa idea sbagliata che le donne migranti non si organizzino. Invece, si riuniscono e resistono", dice Ana Pinto, portavoce di Jornaleras de Huelva en Lucha a Danwatch.

Intanto nei giorni scorsi è arrivata una buona notizia: dopo la pubblicazione dell’inchiesta i supermercati danesi hanno sospeso l’acquisto di frutti rossi da Huelva. La stessa cosa dovrebbe essere allargata in altri Paesi europei.

Pensiamoci prima di mangiarci una bella fragola rossa.
Fresas sì pero con derechos”.

[1Ne abbiamo scritto qui

[3A Huelva il grosso della manodopera arriva inizialmente da Polonia, Romania e solo in parte dal Marocco, che diventerà invece importante dopo l’ingresso dei primi due paesi nell’Unione Europea il primo gennaio del 2007 (rapporto "E(U)xploitation", pag. 48)

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