Luxuria: da sempre in prima linea per i diritti della comunità Lgbt
Nel 1994 organizzatrice del primo Pride italiano a Roma, nel 2006 prima parlamentare transgender in un Paese europeo. Vladimir Luxuria, nata nel corpo di Vladimiro Guadagno 56 anni fa, è la donna delle prime volte, conquistate in anni di impegno e attivismo per i diritti della comunità Lgbt+.
Oggi non può che essere favorevole al disegno di legge Zan, in questi giorni in Aula al Senato dopo il via libera alla Camera, soprattutto nella parte che riguarda le tutele ai più discriminati tra i discriminati: le persone transessuali.
La sua storia parte negli anni Settanta a Foggia: “Già a dieci anni avevo ben chiaro che la mia identità di genere era diversa rispetto a quella dei miei cugini, dei miei compagni di scuola. Avvertivo che la mia sensibilità era molto più simile a quella di mia mamma, di mia nonna, delle mie sorelle, delle mie amiche”.
Il percorso di transizione è stato tutt’altro che semplice: “Avevo provato a reprimermi, perché mi facevano sentire sbagliata. Quando non ti comporti secondo quello che ci si aspetta dal tuo genere - non ti piace il pallone ma le bambole - il mondo reagisce male. A volte solo con indifferenza o disprezzo, altre con violenza”.
Poi cos’è cambiato?
“Ho continuato a reprimere la mia parte femminile per tanto tempo. A diciannove anni mi sono liberata e ho tirato fuori la mia anima, ho preferito che fosse questa a forgiare il corpo e non viceversa. Quando mi sono trasferita a Milano ho conosciuto una realtà aggregativa completamente diversa, dove le persone come me potevano andare a ballare, divertirsi, conoscersi e non avere un destino triste”.
Quindici anni fa il suo approdo in Parlamento, come è stato?
“Dopo tanto attivismo fu un grande risultato, per me e tanti altri. Presentai allora una proposta di legge che riguardava le ‘Norme in materia di diritti e libertà delle persone transgenere’. Fino a quel momento avevo fatto la mia militanza nelle associazioni Lgbt, non nelle segreterie di partito. Ho dovuto studiare tutti gli iter per far approvare una legge, un lavoro davvero enorme, a stretto contatto con le associazioni”.
Che fine ha fatto quella proposta?
“Finita in un cassetto. Non sono neanche riuscita a farla discutere in Commissione Giustizia”.
Perché?
“In realtà il motivo è che il governo (Prodi II, ndr) è caduto dopo due anni”.
Oggi è fuori dal Parlamento, che idea si è fatta del dibattito politico sul ddl Zan?
“A me sembra che non si entri mai nel merito della questione e che tra gli oppositori siano emerse tante, troppe incoerenze”.
Ad esempio?
“Prima di tutto la giravolta di Italia Viva. La stessa legge votata alla Camera ora non andrebbe più bene al Senato. Poi la Lega: Salvini dice di voler togliere l’identità di genere per ubbidire e accogliere le richieste del Papa. Fino a poco tempo fa andava in giro con una maglietta con la caricatura di Papa Bergoglio con la scritta ‘Il mio Papa è Benedetto’. E quella volta nonostante la legge Mancino, che prevede delle aggravanti per chi incita o commette un reato nei confronti di una persona per la sua etnia o per la sua fede religiosa, nessuno gli vietò il diritto di criticare il Papa. La critica è sempre legittima. Tutte le accuse al ddl Zan di voler mettere un bavaglio alle persone sono prive di ogni fondamento”.
Lei ritiene l’identità di genere una definizione imprescindibile?
“Quando si scrive una legge, questa non deve essere vaga. E se la transessualità non viene specificata come identità di genere non si definisce. E’ un’espressione molto semplice, significa che ci sono persone - come quella che le sta parlando in questo momento – che non si identificano nel genere di appartenenza. Tutto qua. Quando questa corrispondenza non c’è si ha il diritto di scegliere e di viversi in base al proprio genere percepito. La Camera e il Senato hanno approvato anni fa la Convenzione di Istanbul, che prevede nell’art.4 questa definizione come categoria di persone da difendere dalle violenze, oltre ovviamente alle donne. C’è nell’ordinamento penitenziario, c’è in tante sentenze. Io non capisco, sinceramente, perché andava bene prima e ora non più, improvvisamente”.
Nel 2006 la parlamentare di Forza Italia, Elisabetta Gardini, le chiese di uscire dal bagno delle donne perché non voleva trovarci degli uomini.
“Fu un episodio brutto, per me choccante. Per fortuna finì bene. Gardini fece un’interrogazione ai questori sperando che le avrebbero dato ragione. E invece diedero ragione a me. Fu una bella conquista all’epoca sentir dire che una persona poteva frequentare gli spazi pubblici, comprese appunto le toilette, in base al genere di elezione”.
Che ricordi ha della sua esperienza scolastica?
“Da una parte molto positivi, per me la cultura e l’apprendimento hanno sempre avuto un grande fascino. Seguivo gli insegnanti con grande rispetto e con la stessa fibrillazione di quando vedo una persona su un palcoscenico. Sentivo l’emozione della spiegazione di una poesia, della descrizione di una nazione lontana che si può solo immaginare o di una pagina di storia. Sono sempre andata molto bene a scuola, in realtà anche all’università. Mi sono laureata con 110 e lode”.
E dall’altra parte?
“Ricordo il bullismo, anche se all’epoca non si chiamava così, ma il fenomeno c’era. Il sentirmi messa all’angolo, schernita, la sensazione di entrare a scuola e passare sotto le forche caudine. Le risatine, la pipì nelle scarpe durante l’ora di ginnastica, gli insulti scritti a penna su libri e quaderni. Tutto questo per fortuna non mi ha fatto perdere la mia voglia di continuare e di resistere”.
Aveva l’aiuto delle insegnanti?
“Purtroppo no. Ricevevo indifferenza, a volte qualche blanda presa di posizione se non addirittura complicità. Conservo il ricordo di una supplente che mi chiese se mi piacevano le femminucce. Quando io risposi sinceramente di no, lei davanti a tutti mi bacchettò sulle mani dicendo che era una vergogna”.
La formazione anti-omofobia deve cominciare dalle scuole?
“Sì. Ma è bene chiarire che il ddl non impone nulla perché nessuno mette in discussione l’autonomia scolastica. Se il Consiglio d’istituto decide di non parlare di temi legati all’omofobia, come auspicato nel disegno di legge, nessuno può obbligarlo, a maggior ragione se si tratta di scuole private di tipo confessionale. Anche se forse, proprio quando si tratta di scuole confessionali se ne dovrebbe discutere”.
Perché?
“Io sinceramente troverei un principio cristiano nel parlare nelle scuole di bullismo e di contrasto alla violenza. Spiegare agli adolescenti che due persone dello stesso sesso che si vogliono bene meritano lo stesso rispetto di tutti non significa deviare o convertire adolescenti da etero in gay. L’idea che non si debba parlare ai minori di 18 anni di omosessualità perché viene paragonata alla pornografia o peggio alla pedofilia è quella che anima in Russia la legge di Putin e in Ungheria la legge di Orban. Se lo fai, è la loro tesi, stai cercando di circuirlo, di modificarlo, di trasformarlo. Una cosa che non ha alcuna base scientifica o psicologica. Noi vogliamo cercare di evitare omofobi adulti domani”.
Che consigli dà agli adolescenti che sentono di appartenere a un altro genere rispetto a quello anagrafico?
“Il problema è tutto di chi insulta: una persona che offende o picchia ha delle questioni irrisolte, ha delle frustrazioni dentro. Resistete e vedrete che l’essere se stessi è sempre la strada migliore da percorrere. Anche se sembra tortuosa”.
Come si concluderà secondo lei la discussione generale al Senato sul ddl Zan?
“Io voglio continuare a essere ottimista e pensare che possa esserci la stessa convergenza che c’è stata sulla calendarizzazione e la stessa maggioranza alla Camera: Pd, M5s, Leu e appunto Italia Viva, che spero rinsavisca. I voti, se si vuole, ci sono. Certo, può esserci il ricorso allo scrutinio segreto ma quanto mi piacerebbe sapere quel dito che preme verde o rosso a chi appartiene. Vorrei che nessuno si dovesse vergognare di dire cosa ha votato, in sincerità. Sarebbe un grande passo avanti per questo Paese”.
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