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Le complicità europee nelle violazioni dei diritti umani in Libia

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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Migranti |

In un rapporto diffuso ieri, Amnesty International ha rivelato nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici.  Violazioni in corso da un decennio, ben note nelle capitali europee, compresa Roma, dove ieri la Camera ha approvato il rifinanziamento della missione in Libia, che sono proseguite incontrastate anche nel primo semestre del 2021.

Dalla fine del 2020 la Direzione per il contrasto all’immigrazione illegale (Dcim), un dipartimento del ministero dell’Interno della Libia, ha posto sotto il suo controllo due centri di detenzione dove negli anni scorsi le milizie avevano ridotto a sparizione forzata centinaia di migranti e rifugiati.

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Uno di questi è ufficialmente chiamato Centro di raccolta e di ritorno di Tripoli ma tutti lo conoscono col nome al-Mabani: vi sono stati assegnati il direttore e altro personale del centro Dcim di Tajoura, tristemente noto per le torture, chiuso nell’agosto 2019 dopo un bombardamento che aveva ucciso almeno 53 detenuti.

Nella prima metà del 2021 ad al-Mabani sono state portate oltre 7000 persone intercettate in mare. Ex detenuti hanno descritto ad Amnesty International le torture, le condizioni detentive inumane, le estorsioni e i lavori forzati cui erano sottoposti. Alcuni hanno anche riferito di essere stati costretti a subire perquisizioni corporali invasive, umilianti e violente.

L’altro centro di detenzione precedentemente diretto da una milizia e ora integrato nel Dcim è quello di Shara’ al-Zawiya, a Tripoli, cui sono destinate persone in condizioni di vulnerabilità. Ex detenuti hanno raccontato ad Amnesty International che le guardie stupravano le donne e che alcune di loro venivano obbligate ad avere rapporti sessuali in cambio di forniture essenziali come l’acqua potabile o della libertà.

A seguito delle violenze subite, due giovani donne detenute a Shara’a al-Zawiya hanno tentato il suicidio.

Tre donne hanno testimoniato che due bambini, detenuti in cattive condizioni di salute con le loro madri dopo essere stati intercettati in mare, sono morti all’inizio del 2021 dopo che le guardie avevano rifiutato di trasferirli in ospedale.

Il rapporto di Amnesty International passa in rassegna le cosiddette missioni “di soccorso” della sedicente Guardia costiera libica, finanziata e sostenuta dall’Italia.

Tra gennaio e giugno del 2021 queste missioni “di soccorso” hanno intercettato in mare e riportato in Libia circa 15.000 persone, più che in tutto il 2020.

Le persone intervistate da Amnesty International hanno regolarmente descritto la condotta dei guardacoste libici come negligente e violenta. In alcuni casi le imbarcazioni su cui viaggiavano sono state fatte capovolgere causando in almeno due occasioni l’annegamento di migranti e rifugiati. Un testimone oculare ha dichiarato che dopo che i guardacoste libici avevano fatto capovolgere un’imbarcazione, anziché soccorrere le persone in mare hanno filmato la scena.

Persone intercettate in mare hanno dichiarato ad Amnesty International che durante la traversata vedevano spesso aerei sopra di loro o navi nei paraggi che rifiutavano di offrire assistenza mentre i guardacoste libici si avvicinavano.

Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere e delle coste, svolge sorveglianza aerea sul Mediterraneo per individuare imbarcazioni di migranti e rifugiati e dal maggio 2021 utilizza un drone. Le navi europee hanno per lo più abbandonato le rotte del Mediterraneo centrale per evitare di dover soccorrere imbarcazioni di migranti e rifugiati in avaria.

Nei primi sei mesi del 2021 nel Mediterraneo centrale sono morti annegati oltre 700 migranti e rifugiati.

L’Italia e altri stati membri dell’Unione europea continuano a garantire assistenza materiale, come ad esempio motoscafi veloci, ai guardacoste libici e stanno lavorando all’istituzione di un centro di coordinamento marittimo nel porto di Tripoli, prevalentemente finanziato dal Fondo dell’Unione europea per l’Africa.

Amnesty International ha chiesto agli stati europei di riconoscere finalmente che le conseguenze delle loro azioni sono indifendibili, sospendere la cooperazione con la Libia in tema d’immigrazione e controllo delle frontiere e aprire urgentemente quei percorsi sicuri così necessari per la salvezza di migliaia di persone bisognose di protezione, attualmente intrappolate in Libia.

 

 

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