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Adesso l’Iran punta ai rapimenti planetari

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Quanto ha ragione il mio ex direttore Paolo Mieli, quando dice che “non c’è mai stato così tanto passato nel nostro presente”. Mieli è spregiudicato ma è una della persone più intelligenti, leali, colte e coraggiose che ho incontrato nella mia lunga vita professionale e umana. Ho pensato a lui anche in queste ore, quando ho letto lo splendido articolo di una collega del Corriere della Sera, Viviana Mazza, giornalista tra le migliori che può vantare il nostro giornale. Una Donna che cerca sempre, con puntiglio, la verità, soprattutto quando è scomoda. Viviana, con dovizia di particolari racconta la storia di una delle giovani donne originarie dell’Iran, un Paese del mio Medio Oriente che ho amato e che amo da sempre. E che dagli Stati Uniti, dove si è trasferita da tempo, continua a lottare per i diritti delle donne nella Repubblica islamica, ammantata di storia millenaria, e dopo la rivoluzione khomeinista vittima e complice di incredibili contraddizioni. Questa giovane donna, Masih Alinejad, 44 anni, vive negli Stati Uniti, superprotetta e felice di esserlo, dove è una star della televisione. Ora si scopre che l’Iran avrebbe ordito un piano pazzesco. Quattro uomini volevano rapirla a Brooklyn, portarla in Venezuela e da la’ costringerla a raggiungere Teheran. Ci sarebbe da ridere o da sorridere, ma proprio in questi giorni si è parlato di un episodio non dissimile accaduto in Italia a una ragazza pakistana, costretta e forse ammazzata dalla famiglia perché rifiutava il matrimonio del disonore organizzato dal padre e dalla madre. Pronti ad assassinarla. Per fortuna l’FBI ha scoperto il plot contro Alinejad e lo ha rivelato. Ne sono però profondamente turbato. Conosco piuttosto bene la Repubblica islamica e confesso persino una storia d’amore che ho vissuto nella magica Teheran, che tra collina, montagna e mare si sviluppa su un dislivello davvero incredibile e affascinante. Allora, dopo la partenza dello Scia’ Reza Pahlavi, funzionava così. La ragazza, che avevo conosciuto e che avevo chiamato al telefono, mi era venuta a prendere davanti all’albergo dove ero sceso. Un messaggio chiaro e severo: “Sali sul taxi che vedrai dall’altra parte della strada. Io sarò seduta dietro. Non mi dare la mano. Ho detto già al tassista dove ci deve portare. Quando saremo arrivati -ci metteremo una buona mezz’ora non pagare. Faccio tutto io. Tu scendi e aspetta che io apra il portone”. In assoluta obbedienza rispettai le disposizioni, poi la ragazza apri’ la porta della sua casa, e mi apparve il mondo della libertà. Non ricordo neppure quante volte sono stato a Teheran. Ho conosciuto il presidente Ahmadinejad, sono stato spesso alla preghiera del venerdì, e ho incontrato più volte il presidente riformatore Khatami. L’ho incontrato anche a Davos, e l’ultima volta a Teheran, dove ero andato al seguito del presidente greco Stefanopoulos, che gli aveva portato in dono l’opera omnia di Aristotele, che l’allora capo della Repubblica islamica adora. Ovviamente a Davos, dove per un paio d’anni avevamo molto famigliarizzato, gli chiesi che cosa si poteva fare, in Iran, discendente del glorioso impero persiano, per assicurare più libertà alle donne. Khatami, persona colta e gentile, mi aveva risposto: “Vedrà molto presto”. Forse era soltanto una speranza. La storia di Alinejad sembra dimostrare il contrario. Quando la grande giornalista nel 2014 ha scritto “My Stealthy Freedom”, la mia libertà furtiva, mai avrebbe immaginato di poter essere vittima di un rapimento clamoroso, per fortuna sventato.

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