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Le Olimpiadi di Tokyo saranno le più queer della storia

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

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Photo credit: Lintao Zhang - Getty Images

Sono storie molto diverse tra loro, quelle degli atleti e delle atlete queer che, in numero mai così grosso, competeranno alle Olimpiadi di Tokyo che partono il 23 luglio. Mai nella storia i Giochi Olimpici hanno ospitato così tanti sportivi appartenenti alla comunità LGBTQI+ e questo, a scanso di teorie insensate sul gender, significa soprattutto che è diventato un po' più semplice fare coming out. Non semplice, perché quello della competizione sportiva, come vedremo, rimane un mondo che sta imparando pian piano e non sempre, ad accettare le diversità di genere e di orientamento, e che fatica ancora molto ad includere atlet* che hanno compiuto la transizione, ma di passi avanti, e lo dimostrano i 121 agonisti queer, se ne sono fatti. Che a Tokyo si respirasse un'aria di rinnovamento era, tuttavia, palpabile, e si era capito dalla concessione, nonostante le strette norme anti pandemiche, alle mamme atlete di allattare i propri figli, che pare una costa scontata, ma se si tratta di diritti delle donne nulla lo è mai davvero. Ma poi è arrivata anche la storia dell'americana Linsday Flach, prima atleta ad aver gareggiato alle qualificazioni per le Olimpiadi di Tokyo 2021, incinta di 18 settimane a confermare che qualcosa era cambiato. Ed ancora, la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard è diventata la prima donna transgender ad essere stata ammessa alle Olimpiadi. Tanti segnali, tanta volontà di essere inclusivi, pure con qualcuno a cui tocca, purtroppo, rimanere fuori, come nel caso di CeCe Telfer, runner transgender statunitense di origini giamaicane a cui è stato negato l'accesso alle selezioni per la squadra olimpica americana a causa del suo livello di testosterone, giudicato troppo elevato dall'Usa Track e Field, l'associazione di atletica leggera statunitense. Rimane, nonostante l'amarezza per l'esclusione di Telfer (che è anche un'attivista per i diritti trans) rimane un numero, quel 121, che non solo è più del doppio del numero di atleti olimpionici che hanno partecipato ai giochi di Rio 2016,ma che è anche superiore al numero di atleti pubblicamente eliminati in tutti i precedenti giochi olimpici estivi messi insieme , secondo i calcoli del sito di notizie LGBTQ+ 'Outsports'.

L'outlet ha contato gli atleti che hanno parlato pubblicamente della loro identità LGBTQ+ sui media o che hanno fatto coming out sui loro social. L'elenco include la pugile statunitense Rashida Ellis, la giocatrice di basket portoricana Dayshalee Salamán, il giocatore di calcio canadese transgender Quinn, eletto atleta non binario dell'anno da Outsports per quello che ha fatto sul campo e per la comunità e il nuotatore canadese Markus Thormeyer. Poi, per tornare alle profonde differenza tra le storie personali di quest* 121, c'è Dutee Chand, donna ed atleta, e queste due sono le sue identità primarie, ma fatta di strati su strati di identità, molti dei quali si scontrano con l'idea di femmina "normale" in una società e in un paese , l'India, in cui le idee regressive rimangono radicate. Nata poverissima in un villaggio rurale, sembrava destinata a dover uccidere i propri sogni, ma per un'istruzione negata, lo sport, per ragazze come Dutee, cambia la vita. Lo sport era l'unico campo in cui Dutee avrebbe potuto competere alla pari contro una ragazza di casta alta. È successo e Dutee ha vinto. Come sua sorella maggiore Saraswati, anche lei correva veloce ed era tra le migliori atlete del paese nella categoria dei 400 metri. Dutee ha corso ogni giorno, lungo il fiume del villaggio e nonostante fosse denutrito, più della maggior parte dei bambini indiani, era veloce, nerboruta, atletica. Nel 2013 ha compiuto il grande salto, vincendo il bronzo ai Campionati asiatici di atletica leggera nei 200 metri di Pune e finendo sesto nei 100 metri ai Mondiali giovanili e stava iniziando a sognare grandi medaglie globali. Poi l'incubo. Nel 2014, l'anno dei Giochi del Commonwealth e asiatici, era la campionessa nazionale in entrambi gli sprint ma da lì a poco la sua vita si è capovolta: dopo diversi test medici, del cui scopo Dutee è stata tenuta all'oscuro, le è stata diagnosticata una condizione medica chiamata "iperandrogenismo" : il suo corpo stava producendo una quantità eccessiva di testosterone, tanto che i suoi livelli naturali erano gli stessi di quelli maschili, e per questo è stata bandita. Ma lei, come sempre, ha lottato e la sua battaglia per essere riconosciuta come donna, costituisce il fulcro della sua biografia. Nel 2015, Dutee, con l'aiuto di una straordinaria equipe, ha ottenuto una sospensione dalla Corte di arbitrato per lo sport, che ha stabilito che non è stata fornita alcuna prova che il testosterone aumentasse le prestazioni atletiche femminili. Ha iniziato ad allenarsi e a vincere, conquistando due medaglie d'argento nelle volate ai Giochi Asiatici 2018. Poi il coming out, nel 2019, prima atleta indiana a farlo. Allora la sorella Saraswati disse di aver avuto paura per sua sorella, raccontando la storia di una ragazza in una città dell'Odisha che era stata legata a un albero e picchiata perché aveva una relazione omosessuale. Ma Dutee è forte, abbraccia la sua identità gay senza paura. È diversa e non se ne scusa. È una donna volitiva, a volte ostinata, ma la sua è una storia incredibile, che può solo continuare a brillare in queste Olimpiadi.

Poi c'è la nostra Rachele Bruni, unica atleta della squadra olimpionica italiana ad essersi dichiarata gay. L’azzurra dopo aver vinto l’argento nella 10 km di nuoto a Rio 2016, aveva dedicato la vittoria alla sua compagna Diletta; “Dedico questa vittoria - disse durante la festa a Casa Italia - alla mia famiglia, all’esercito, al mio allenatore e a Diletta, che mi hanno seguito e sostenuto”. Il suo coming out venne definito "coraggioso" dalla stampa, ma sia lei che i suoi genitori non si mostrarono troppo d'accordo: "non mi sono mai preoccupata dei pregiudizi – dichiarò a Che Tempo Che Fa - Io vivo la mia vita con naturalezza, vivo per me stessa, per la mia passione per il nuoto e per le persone che mi vogliono bene”. “È stata coraggiosa a dare un segnale al mondo dello sport? - si domandò mamma Simona - Per noi è del tutto normale, la colpa semmai è dell’ipocrisia delle persone".

Non così facile, invece, è stato per il nuotatore Marcus Thormeyer, che ha gareggiato alle Olimpiadi del 2016 senza essersi dichiarato omosessuale, confidando a Outsports che essere stato in grado di aprirsi sulla sua sessualità per le Olimpiadi di quest'anno "è stato piuttosto sorprendente. Essere in grado di competere con i migliori al mondo come me stesso più autentico e nei più grandi giochi multi-sport internazionali, mostra fino a che punto siamo arrivati all'inclusione nello sport. Spero che partecipando a questi Giochi io possa mostrare alla comunità LGBTQ che abbiamo gli stessi diritti di ogni altro essere umano e che possiamo ottenere qualsiasi cosa in cui ci impegniamo". Tokyo 2020, ti si vuole bene.

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