Pensioni, Inps: alle donne 500 euro in meno al mese. Anief: uno scandalo, penalizzate tutta la vita
Le pensioni medie degli italiani non sono tra le più floride. Soprattutto quelle delle donne, che hanno in alto numero dei trascorsi lavorativi meno regolari e dei compensi più bassi. L’Inps oggi ci ha detto che il gap rispetto agli uomini è notevole: in media quasi 500 euro al mese, per l’esattezza 498 euro.
Il dato emerge dal Monitoraggio sui flussi di pensionamento nei primi sei mesi del 2021. Parliamo di pensioni lorde modeste: di poco più di 1.400 euro per gli uomini e di 900 euro per le donne. I conteggi riguardano da vicino il mondo della scuola, dove, tra personale di ruolo e precario, operano a vario titolo quasi un milione e mezzo di dipendenti: circa un milione e 200mila, più dell’80 per cento, sono donne, che nella metà dei casi hanno oltre 55 anni e quindi cominciano ad entrare nell’orbita del pensionamento.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief siamo all’assurdo: “Le donne vengono penalizzate durante la vita professionale e anche da pensionate. Lo Stato non fa nulla per venire loro incontro. Nemmeno una forma di anticipo pensionistico degna di questo nome: basta dire che dal 2022, a parte l’Ape sociale rivolta a poche categorie, l’unica modalità per lasciare il servizio potrebbe essere quella di Opzione Donna, che attraverso un meccanismo ‘a perdere’ taglia di netto fino al 30-40% dell’assegno, permettendo quindi di andare in pensione ma in cambio di un costo per la lavoratrice davvero salato. Come sindacato continuiamo a dire che è offensivo lavorare una vita, in condizioni precarie, stipendi ricevuto a singhiozzo, di importi fortemente al di sotto delle medie europee e Ocse, per poi ritrovarsi con una pensione da fame. La storia delle donne che lavorano a scuola è emblematica: arrivano all’assunzione in alto numero dopo essersi formate, sottoposte a più valutazioni e decenni di supplenze, si spostano a centinaia di chilometri e devono rimanervi per un quinquennio pur in presenza di cattedre libere vicino casa, con il calcolo degli anni di precariato valutati in parte, compensi dimezzati rispetti alle colleghe tedesche. Da qualche tempo, sono pure costrette a curarsi per le patologie figlie del burnout accertato da tutti meno che dallo Stato. Di recente, il Cnel ha ricordato che non c’è per loro alcuna assistenza diretta. Adesso l’Inps dice che quando lasciano la scuola, a 67 anni, ricevono la pensione sociale. Non abbiamo altre parole: ‘vergogna’”.
L’Inps certifica, nero su bianco, quello che tutti temevamo: dalle tabelle e dai resoconti nazionali pubblicati oggi dall’Istituto di previdenza risulta infatti che la forbice tra le pensioni delle donne e quelle degli uomini negli ultimi anni si è sempre più allargata: questi ultimi hanno riscosso un importo medio di 1.429 euro, mentre quello delle donne si ferma a circa 931 euro, con uno stacco di quasi 500 euro tra i due generi. Una differenza che corrisponde quindi ad un terzo in meno dell’assegno di quiescenza.
Il dato odierno conferma che l’onda lunga della riforma Fornero si è abbattuta proprio sulle donne: da un altro rendiconto Inps, risalente alla scorsa primavera, a dieci anni esatti dall’ultima riforma voluta dal Governo Monti, erano addirittura 400 mila quelle rimaste intrappolate dagli scaloni dell’età per un risparmio di ben 8,9 miliardi. In cambio, sempre l’Inps ha potuto registrare un’impennata del +70% nelle pensioni di vecchiaia registrato nel 2020 sul 2019. Già a maggio l’Istituto di previdenza aveva comunicato il gap sul primo assegno di quiescenza: nel 2020 la pensione di vecchiaia vale in media 740 euro lordi al mese per le donne contro 1.079 degli uomini. Nel settore privato la differenza è abissale: 737 contro 1.439 euro, la metà.
Anief non può che ricordare come si arriva a questo pensionamento così modesto. Almeno nella scuola. Le donne non solo non vengono immesse in ruolo dopo 36 mesi di supplenze, come l’Unione europea chiede da 22 anni, così come ribadito dal Comitato dei diritti sociali europei, che ha pure avallato il ricorso Anief n. 146/2017 sull’illegittimità della reiterazione dei contratti a tempo: quando vengono finalmente stabilizzate, devono anche subire l’onta dello stipendio fermo, più basso di un impiegato part time. Poi devono anche sottostare alla permanenza obbligata fino alle soglie dei 70 anni. E questo anche se il burnout colpisca con facilità il personale scolastico. Non si comprende, infatti, perché l’Ape Sociale non venga allargato a tutti i lavoratori scolastici. E perchè i tagli dell’Opzione Donna debbano arrivare a 600 euro al mese.
Marcello Pacifico, presidente Anief, ritiene che lo stop a ‘Quota 100’ rischi di rendere ancora più pesante la situazione. “Quota 10 – dice il sindacalista autonomo – seppure in cambio di una riduzione della pensione, ha comunque garantito negli ultimi tre anni un’opportunità di anticipo pensionistico a partire dai 62 anni di età. Come del resto già si fa per i militari. È la stessa età che Anief chiede da tempo di prendere in considerazione per fare uscire i lavoratori che operano in una condizione di rischio, anche biologico e pure questo non riconosciuto, almeno nella scuola. Poi c’è il problema dell’invecchiamento dei docenti italiani: grazie a seguito delle ultime riforme, ci ha detto qualche giorno fa il Rapporto Inapp 2021, l’insegnante italiano è passato in soli 10 anni da un’età media di 49,1 anni a 52,5 anni. E gli over 60 sono più che raddoppiati. La morale – conclude Pacifico – è quindi: in pensione tardi e male. Dove vogliamo arrivare?”.