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Tokyo 2020 è l’Olimpiade delle cause sociali e dei diritti

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Da una parte le gare, le medaglie, la gloria eterna che solo le Olimpiadi sanno regalare ad uno sportivo. Dall'altra la Tokyo 2020 dei temi sociali che ogni giorno rubano parte dell’attenzione ai Giochi. Un’Olimpiade dei diritti e delle cause internazionali che ha raccolto il mondo nello stesso villaggio e fa discutere, sui social e nella metropoli giapponese. 

Terrorismo, il campione della pistola ad aria compressa accusato di appartenere ad una miliziaOggi Tokyo si è fermata sulle parole del sudcoreano Jin Jong-oh, oro olimpico a Londra 2012 e argento a Pechino 2008 nella pistola ad aria compressa 10 metri, che ha espresso la sua obiezione al Comitato Olimpico Internazionale (Cio) definendo l'assegnazione dell'oro a Foroughi una «pura assurdità». L'iraniano Javad Foroughi, campione nella specialità, è stato accusato di appartenere ad una milizia del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (Irgc), classificata organizzazione terroristica dagli Stati Uniti nel 2019: «Come può un terrorista occupare il primo posto?». La segnalazione è arrivata anche dall'organizzazione sportiva iraniana per i diritti umani, “United for Navid”, che aveva dichiarato in una nota, «consideriamo l'assegnazione della medaglia d'oro olimpica al tiratore iraniano Javad Foroughi non solo una catastrofe per lo sport iraniano, ma anche per la comunità internazionale, e soprattutto per la reputazione del Cio».

Tokyo 2020, protesta contro le Olimpiadi davanti all'ufficio del primo ministro

Diritti delle donneIn Turchia, invece, è scoppiato un caso dopo le parole del teologo musulmano Ihsan Senocak che ha attaccato su Twitter le pallavoliste turche, protagoniste di un'ottima Olimpiade a Tokyo, perché poco caste nei loro completi da volley: «Figlie del'Islam - ha twittato il religioso – siete i sultani della fede, della castità, della moralità e della modestia non dei campi sportivi». Il riferimento di Senocak è al nome del team di volley turco femminile, atlete note come “le sultane della rete”. «Voi siete figlie di madri che si sono astenute dal mostrare il loro naso per pudore - ha proseguito – Non siate vittime della cultura popolare. Siete la nostra speranza e la nostra preghiera». Senocak è seguito da quasi un milione di persone. Il tweet, condiviso la sera del 25 luglio, è diventato immediatamente virale, tra critiche e pareri favorevoli. 

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Un tema ricorrente in tutte le discipline a Tokyo 2020, a partire dall’iniziativa del capo del broadcasting olimpico che ha convocato le televisioni e per la prima volta si discute di obiettivi che non indugino su particolari e intimità. Nella ginnastica artistica, invece, le atlete tedesche hanno rinunciato ai soliti body aderenti e sgambati per sfoggiare tute intere aderenti e comode. Un tema che fa discutere anche lontano da Tokyo, con Olivia Breen, campionessa paralimpica inglese, rimproverata dall’ufficiale di gara per gli «Slip troppo corti» e le atlete della pallamano norvegese in shorts che hanno detto “no” al bikini sessista multate di 1500 euro a Bedford e Varna.

Lgbt, i messaggi arcobaleno dei campioni e il primo atleta transgender ai GiochiPrima l’autorizzazione del Cio alla capitana della nazionale tedesca di hockey a indossare alle Olimpiadi la fascia arcobaleno simbolo del movimento Lgbt, come aveva fatto il capitano della nazionale di calcio Manuel Neuer agli Europei. Poi le parole del campione di tuffi Tom Daley: «Sono molto orgoglioso di essere un uomo gay e un campione olimpico». L’oro olimpico aveva già rivelato la propria omosessualità otto anni fa, ma questa volta da Tokyo le sue parole di lunedì 26 luglio sono rimbalzate anche in Paesi dove le comunità Lgbt sono spesso costrette a vivere nell'ombra: il britannico ha mandato al mondo il suo messaggio arcobaleno seduto allo stesso tavolo della conferenza stampa con le altre due coppie sul podio, quella cinese e quella del Comitato olimpico russo.

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«Spero che ogni persona Lgbt possa capire che, a prescindere da quanto sola possa sentirsi, non è sola. Potete raggiungere qualsiasi traguardo, e la famiglia che vi scegliete sarà pronta a sostenervi» ha detto il ventisettenne, applaudito a casa dal marito, il regista Dustin Lance Black, premio Oscar per la sceneggiatura di Milk, e dal loro figlio Robbie. Ora Daley è uno degli oltre 140 atleti Lgbtq in gara a Tokyo, ma quando debuttò ai Giochi a 14 anni la situazione era ben diversa: «Da giovane mi sentivo solo, mi sembrava sempre di non andare bene per la società. Temevo di non riuscire a ottenere nulla per quello che ero». A Tokyo 2020 anche la prima atleta transgender alle Olimpiadi: è Laurel Hubbard, pesista neozelandese, selezionata per la squadra femminile di sollevamento pesi della Nuova Zelanda. L'atleta, che ha 43 anni, gareggerà nella categoria 87 chilogrammi femminile.

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La discriminazione nel judo, il ritiro dell’atleta tunisino «perché sorteggiato con un israeliano»Il sorteggio non è andato come gradiva ed un judoka algerino ha deciso di ritirarsi dalle Olimpiadi di Tokyo. Motivo?Fethi Nourine non voleva gareggiare contro l’israeliano Tohar Butbul. «Non siamo stati fortunati con il sorteggio, abbiamo un avversario israeliano ed è per questo che ci siamo dovuti ritirare: abbiamo preso la decisione giusta» ha detto l'allenatore di Nourine, Amar Ben Yaklif, ai media algerini. Lo stesso precedente risale al 2019 quando ai Mondiali, il judoka tunisino si ritirò prima di affrontare Butbul. Non è la prima volta di un caso di discriminazione nel judo alle Olimpiadi. L'ultimo più recente ai Giochi del 2016 il judoka egiziano Islam El Shahaby aveva rifiutato di stringere la mano al suo rivale, l'israeliano Or Sasson che lo aveva battuto al primo turno della categoria fino a 100 kg. Ma ci sono anche cartoline positive, su questo tema, da Tokyo: al termine della sfida dei sedicesimi di finale dei +78 kg donne Tahani Alqahtani, saudita, e Raz Hershko, israeliana, si sono abbracciate. Poi la 23enne Hershko, detta “Hercules”, che aveva vinto per ippon, ha alzato il braccio destro dell’avversaria nel gesto che si usa per rendere omaggio al valore della rivale.

Black Lives Matter, in ginocchio durante il corpo liberoSchiena indietro, pugno alzato, tutto ben in vista. Luciana Alvarado dalla Costa Rica a Tokyo ha deciso di portare il simbolo della lotta al razzismo direttamente in prova, dentro la routine del suo esercizio a corpo libero. Le foto di lei in ginocchio nel suo body blu hanno iniziato a circolare dopo gli allenamenti, ma la mossa ovviamente coreografata poteva anche non avere interpretazioni, in gara però è stata plateale: «Meritiamo tutti rispetto e dignità, stare ai Giochi senza dirlo non ha senso».

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La richiesta di asilo politico del portiere del Myanmar e la fuga del pesista dell’UgandaSlogan, ma anche viaggi olimpici che regalano un’opportunità di evadere da una situazione in patria insostenibile. Come quella del portiere della Nazionale di calcio del Myanmar che si è rifiutato di tornare a casa dal Giappone dove sta cercando di ottenere lo status di rifugiato. Il giocatore si unirà ad una squadra locale di Yokohama in prova dopo aver ottenuto un visto di sei mesi. Durante la partita tra Giappone e Myanmar di fine maggio, il portiere, dalla panchina, ha alzato tre dita della mano destra nel segno "We need Justice" mentre veniva suonato l'inno nazionale del Myanmar. Il saluto è usato in Myanmar come dimostrazione di resistenza al colpo di stato militare del 1° febbraio. Mentre la squadra stava per lasciare il Giappone, il 16 giugno dopo aver giocato altre due gare di qualificazioni ai Mondiali, il portiere ha detto alle autorità per l'immigrazione all'aeroporto di Kansai nella prefettura di Osaka, nel Giappone occidentale, che voleva rimanere nel paese ed ha chiesto lo status di rifugiato cambiando il visto dopo aver espresso timori per la sua vita dopo aver fatto il saluto con le tre dita. 

Pellegrini e Montano, campioni che smettono. Lo psicologo dello sport: "Persone, non solo atleti"

È durata invece appena quattro giorni la fuga in Giappone di Julius Ssekitoleko, atleta ugandese che voleva rimanere sull’isola nipponica perché «in Uganda la vita è particolarmente difficile». Aveva lasciato questa frase scritta su un bigliettino nella sua stanza di hotel dopo aver mancato l'appuntamento quotidiano con il test per il Covid, esprimendo la volontà di poter lavorare in Giappone. Il sollevatore di pesi è rimasto irrintracciabile nel camp pre-olimpico in Giappone dal momento in cui ha saputo che per una questione di quote non avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi di Tokyo, per le quali si era tanto preparato. «Non aveva i requisiti» per partecipare alle olimpiadi nella categoria 67 kg «e avrebbe dovuto tornare a casa all'inizio della settimana prossima» come ha scritto il sito ugandese Chimpreports rilanciando dichiarazioni fatte ieri a un altro media locale dal presidente della federazione Sollevamento pesi dell'Uganda, Salim Musoke. «Era fra gli atleti in lista di attesa, nonostante Ssekitoleko avesse vinto una medaglia di bronzo nella categoria dei 67 kg ai campionati africani di Nairobi, in Kenya, e fosse uno dei cinque sollevatori confermati per i Giochi del Commonwealth di Birmingham dell'anno prossimo». Ssekitoleko è tornato in Patria dopo aver dato spiegazioni sia alla autorità giapponesi, sia a quelle, sportive e non, del suo Paese, mentre sono andati in fumo sia il sogno a cinque cerchi, sia la speranza di cambiare vita. 

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