L’Arabia Saudita nella Commissione ONU per i diritti delle donne; e le femministe?
L’Arabia Saudita è stata nominata membro della Commissione per i Diritti delle Donne dell’ONU. L’organismo si chiama “Commission on the Status of Women” (CSW) ed è il principale strumento intergovernativo dedicato alla promozione della parità di genere e all’empowerment femminile.È stato istituito nel 1946 in seno al Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e la sua funzione è di evidenziare lo stato della condizione femminile nel mondo e promuovere gli standard globali a cui le nazioni devono attenersi.
Peccato che l’Arabia Saudita sia una delle teocrazie più oscurantiste del mondo, regime repressivo primo per violazione dei diritti umani, condanne a morte senza garanzie di diritto, applicazione della tortura, persecuzione delle minoranze religiose. Secondo i dettami del wahabismo, interpretazione estrema del Corano, le donne non hanno alcun diritto civile e non possono esercitare alcun tipo di attività sociale e pubblica se non alla presenza di un uomo tutore.
Ma allora come hanno fatto a ricoprire un ruolo così importante per promuovere l’emancipazione femminile? Semplice, barando. In genere i membri della Commissione vengono concordati tra i 54 paesi membri che compongono l’ECOSOC; ma questa volta si è scelto il voto a scrutinio segreto, prassi non consuetudinaria, su richiesta degli Stati Uniti. Proprio loro, i primi alleati dei Sauditi insieme alla Francia, due delle nazioni occidentali più fedeli alla prassi consolidata dell’esportazione della democrazia e dei diritti umani non negoziabili. Due che, però, quando c’è da chiudere un occhio sui bombardamenti a tappeto dei sauditi nello Yemen o sui finanziamenti ai gruppi integralisti islamici non si tirano mai indietro.