Afghanistan: a rischio il ciclismo femminile, emblema dei diritti delle donne
Solo due mesi fa, a metà giugno, 20 cicliste si stavano sfidando in una gara di mountain bike nella provincia di Bamyan. La stessa città che, nel 2001, era stata teatro della distruzione da parte dei Talebani delle due enormi statue di Buddha. Vent’anni dopo, con quelle giovani ragazze che si sfidavano pedalando a più non posso in mezzo alla polvere afghana, la furia iconoclasta dei fondamentalisti e le stringenti interdizioni sportive nei confronti delle donne sembravano un lontano ricordo. E ancora, poche settimane fa, ci sono state le Olimpiadi di Tokyo, con quel potentissimo messaggio lanciato al mondo intero da Masomah Ali Zada, 25enne di Kabul che ha fatto la storia partecipando alla gara di oltre 20 km al cospetto del Monte Fugji: per lei e per tutte le donne afghane il solo fatto di essere presente tra le cicliste più forti al mondo ha avuto il valore di una medaglia d’oro. Erano alcuni dei segnali incoraggianti di un ciclismo femminile che nel paese, pur tra grandi difficoltà, si stava facendo gradualmente più diffuso e importante, con circa 220 ragazze iscritte alla federazione e ben sette squadre provinciali femminili di ciclismo. Ma la silenziosa avanzata dei Talebani, e il rapido degenerare della situazione dei giorni scorsi, con la loro presa di Kabul e il caos che si è generato, potrebbero riportare la situazione indietro nel tempo.