Afghanistan, le donne e l’obiettivo 5 dell’Agenda Onu 2030
La ritirata dell’Occidente laico e liberale dall’Afghanistane la restaurazione dell’Emirato islamico aprono scenari preoccupanti per il destino del popolo afghano, in particolare quello delle donne. E la questione si estende anche oltre i confini di quel Paese, mettendo a repentaglio il raggiungimento dell’obiettivo n. 5 dell’Agenda Onu 2030: “Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze”.
Anche l’Afghanistan, avrebbe dovuto elaborare una strategia per l’Agenda 2030 impegnandosi a porre fine a tutte le forme di discriminazione delle donne, eradicare ogni violenza fisica e morale a loro danno, riconoscere il valore del lavoro domestico, favorire l’istruzione e il pari accesso al lavoro, alle risorse economiche e all’uso delle tecnologie. Se qualche progresso per il genere femminile era stato compiuto nel corso degli ultimi 20 anni, adesso la perdita di controllo sul territorio afghano da parte dei Paesi occidentali desta grande allarme per l’universo femminile.
All’indomani della presa di Kabul del 15 agosto scorso, il portavoce dei talebani ha tentato di rassicurare la comunità internazionale, promettendo rispetto per i diritti delle donne, ma nell’osservanza della Sharia. Ciononostante i vertici della comunità internazionale mostrano - senza veli - forte preoccupazione. Il 18 agosto il Consiglio dell’Unione ha pubblicato una dichiarazione congiunta a firma di tutti i paesi occidentali, nella quale ribadisce l’importanza di tenere alta l’attenzione sui diritti delle donne afghane, invocando protezione da parte di quanti ricoprono posizioni di potere nel Paese riconquistato dai talebani. “Le donne e le ragazze afghane, come tutti i cittadini afghani, hanno il diritto di vivere in sicurezza e dignità. Si dovrebbe prevenire qualsiasi forma di discriminazione e abuso. In seno alla comunità internazionale siamo pronti a prestare loro assistenza sotto forma di aiuti umanitari e sostegno, così da garantire che la loro voce possa essere ascoltata”.
Nel breve termine il pensiero corre all’urgenza di mettere in salvo tutte quelle donne che faticosamente avevano ricostruito sotto il precedente governo una forma di partecipazione alla vita pubblica. Molte di loro temono rappresaglie da parte dei talebani, e lanciano appelli all’occidente che dopo aver abbandonato il campo non potrà restare indifferente, ma dovrà impegnarsi a favorire corridoi umanitari per proteggere il maggior numero possibile di vite.
Nel lungo periodo le preoccupazioni sono ancora più estese e profonde e travalicano i confini dell’Afghanistan gettando ombre sulla questione femminile e sulla concreta possibilità di realizzare i target internazionali dell’Agenda Onu.
Il nodo giuridico si trova in quella affermazione del portavoce dei taliban che colloca il rispetto dei diritti delle donne all’interno della cornice della Sharia. Dov’è la contraddizione in termini all’interno di questa affermazione?
Sottolineiamo tre punti.
Primo. La Sharia, fonte suprema del diritto per i musulmani, si fonda sul Corano e sulla Sunna. Il primo è la Parola data da Dio al profeta Maometto, la seconda comprende i fatti e i detti del Profeta, riferiti in modo differente (più o meno radicali e conservatori) dalle diverse scuole coraniche. Sia il Corano che la Sunna sanciscono la supremazia dell’uomo rispetto alla donna, se non in termini di differente dignità, certamente come diverso peso all’interno della famiglia e della società, attribuendo ai due sessi diritti e obblighi diversi. Al Corano e alla Sunna occorre fare riferimento per interpretare qualunque legge di diritto positivo, inclusa l’eventuale fonte di rango costituzionale. La legge religiosa islamica dunque orienta l’interpretazione di qualunque norma che riconosca alle donne il godimento di certi diritti.
Secondo. La Sharia non è un documento scritto, e sfugge dunque ai meccanismi di controllo dello Stato di diritto, in termini di certezza delle norme, applicazione uniforme della legge, supervisione e controllo da parte di organi giurisdizionali imparziali e indipendenti. Il rigore di certe norme, come quelle sull’adulterio, oscilla nel mondo musulmano da forme più blande di disapprovazione morale e giuridica fino alla punizione con la lapidazione, praticata in Afghanistan prima della occupazione americana. L’interpretazione della scuola coranica di riferimento fa dunque la differenza rispetto alle conseguenze sanzionatorie di determinati comportamenti, ma non rimuove a monte le ragioni di discriminazione e gli ostacoli ideologici che si frappongono al raggiungimento di una vera parità di genere. Forse non saranno lapidate, probabilmente non indosseranno più il burqa, magari non verrà loro tagliata la mano se indossano lo smalto, ma conserveranno dentro ogni scelta e dentro ogni comportamento l’orientamento verso una sostanziale differenza di ruolo che rende irrealizzabile di fatto il pari accesso ad ogni posizione giuridica e sociale consentita agli uomini. Ecco perchè l’affermazione del portavoce dei taliban, nasconde dietro toni di rassicurazione una sfida agli obiettivi internazionali perseguiti dal mondo occidentale.
Terzo. La Sharia è legge religiosa e non (solo) statale, vincola quindi ogni musulmano, a prescindere dalla appartenenza al territorio di un determinato Stato, ponendo problemi di convivenza sociale e di conflitti con i precetti normativi incompatibili di ordinamenti giuridici differenti, come quelli occidentali. La Sharia obbliga dunque le donne afghane in quanto musulmane e ovunque si trovino; quante troveranno asilo e protezione internazionale in Europa, resteranno soggette alla legge islamica anche nel contesto normativo occidentale. Questo elemento sposta dunque il terreno di battaglia della tutela dei diritti delle donne ben oltre i confini dell’Afghanistan.
Quanto basta per comprendere che nei prossimi tempi il dramma delle donne afghane travalicherà le frontiere del Paese abbandonato nelle mani dei taliban, per coinvolgere tutte le donne ad ogni latitudine del globo. La questione delle donne afghane (e di tutte quelle donne in tutto il mondo soggette alla legge islamica) sarà il banco di prova sul quale verificare la serietà delle intenzioni della comunità internazionale nella lotta al conseguimento del 5 obiettivo dell’Agenda Onu 2030 sulla parità di genere.
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