WeWorld sulle cause della violenza contro le donne
Anni di battaglie femminili, di campagne di sensibilizzazione, di iniziative importanti come la legge del Codice Rosso che tutela le vittime dei maltrattamenti, o l’istituzione del numero- pubblico e gratuito – anti violenza 1522. Eppure, per quanto riguarda la percezione delle cause delle violenze sulle donne, poco è cambiato: gli stereotipi sono quelli di sempre, con le relative giustificazioni per i maschi, che riescono – ancora, e incredibilmente – ad autoassolversi. Resta molto da fare per promuovere una cultura diversa, inclusiva e paritaria.
È quanto emerge dalla ricerca della onlus WeWorld “La cultura della violenza” realizzata su un campione di 800 italiani maggiorenni, di entrambi i sessi, che iO Donna presenta in anteprima in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre. Partiamo da una considerazione: questa è l’ultima di una serie di rilevazioni sullo stesso tema condotte da WeWorld dal 2014. Ebbene, alla domanda: «Da dove viene la violenza maschile contro le donne?», il 22 per cento degli italiani, oggi come nel 2014, risponde che «è spesso frutto di un momentaneo raptus dell’uomo». Come quello del quale è stata vittima Chiara Ugolini, 27 anni, uccisa un paio di mesi fa dal suo vicino di casa, che si era arrampicato sul suo balcone ed era entrato, riempiendola di botte fino a farla morire, perché non aveva “resistito”. Quasi fosse una giustificazione. Ancora peggio un altro dato: il 15 per cento degli intervistati, anche qui senza tentennamenti da anni, ritiene che la «violenza domestica è frutto del fatto che le donne a volte sono esasperanti».
La vittima, nel mirino due volte
«Ancora oggi la vittima finisce nel mirino, come se fosse – anche – colpa sua quel che ha subito» sostiene Elena Caneva, responsabile del Centro studi di WeWorld. «Si chiama vittimizzazione secondaria e vuol dire che la vittima è tale per la seconda volta, perché proprio chi dovrebbe proteggerla la accusa di aver provocato l’assalitore con il suo comportamento, o per come era vestita. Anche la Commissione parlamentare sul femminicidio, presieduta dalla senatrice Valeria Valente, di recente ha sottolineato che questo problema è presente e che bisogna lavorarci. Ma la responsabilità è anche dei media, quando sembrano giustificare un assassino dicendo che aveva problemi d’alcol o, ancora peggio, quando parlano di troppo amore (per il 14 per cento degli italiani, è un’altra motivazione della violenza, ndr ). C’è un errore nella narrazione, ma soprattutto c’è ancora chi crede che un uomo abbia il diritto di controllare i movimenti o il cellulare della sua compagna. E il peggio è che lei dice: “lo fa perché è geloso”, quasi assolvendolo, come se fosse naturale».
Per le donne che si rivolgono al Centro WeWorld di Scampia, è normale che i mariti le controllino, è sempre stato così. Se ci scappa qualche ceffone, pazienza, si sa come sono fatti. «Gli uomini ammettono le difficoltà ad accettare i fallimenti e i conflitti» aggiunge Livia Ridolfi, la ricercatrice di Public Affairs di Ipsos che ha condotto la ricerca. «Ma questo non significa che debbano essere giustificati per i maltrattamenti». Ed è proprio su questa parte dell’indagine che si sofferma Marina Calloni, docente di Filosofia politica e sociale all’università di Milano Bicocca. La colpiscono soprattutto i numeri sulla percezione di sé che hanno gli uomini, e la percezione dei comportamenti maschili che hanno le donne. «Vecchie tradizioni si sommano con nuovi cambiamenti sociali e spesso le risposte divergono nei due sessi» sottolinea. Per il 69 per cento delle donne, e il 59 degli uomini, entrambi i sessi «sono ancora condizionati da una cultura troppo patriarcale e maschilista». Anche se il peso, a giudicare dai 10 punti di scarto, sembra essere ancora rilevante soprattutto per le donne, mentre i loro compagni affermano di sentirlo meno.
La crisi della mascolinità
Un’ulteriore differenziazione di genere è nell’idea che – tra le cause della violenza – ci sia l’incapacità degli uomini di gestire i conflitti: lo crede il 50 per cento degli uomini e il 58 per cento delle donne. Discreto lo scarto anche nell’affermazione successiva, e cioè che gli uomini non sanno controllare le emozioni (loro ci credono per il 49 per cento, le donne per il 54). «Negli ultimi due dati – incapacità di gestire le emozioni e i conflitti – la percentuale di risposte maschili è quasi la stessa: metà degli uomini intervistati sottolinea l’incapacità di relazionarsi in modo equo» spiega la professoressa Calloni. «Probabilmente tale difficoltà è dovuta anche alla crisi della mascolinità contemporanea che non sa affrontare le trasformazioni epocali che hanno coinvolto la sfera dell’intimità e dell’affettività».
Le donne sono cambiate, sono indipendenti nel lavoro e nelle relazioni, e questo provoca «la nevrosi del controllo da parte dell’uomo». Un altro dato dove, sempre alla domanda sulle cause della violenza, le risposte divergono per genere, è quello relativo alle donne che provocano gli uomini: tema significativo per il 28 degli uomini e solo per il 21 delle donne. Ma c’è un ultimo numero importante, dove veramente il divario tra i sessi è incolmabile. Ed è la domanda sull’umiliazione: mentre il 29 per cento degli uomini pensa che l’agire violento sia connesso alle umiliazioni subite da parte delle donne, solo il 15 per cento delle donne è sulla stessa linea. Perché una tale differenza?
«Gli uomini non sanno gestire il senso di frustrazione e i sentimenti legati ai fallimenti. Si sentono umiliati e questo scatena la loro rabbia, che può diventare furia omicida» continua Calloni. «I maggiori casi di violenza familiare e affettiva nascono proprio dal risentimento accumulato. Non essendo capaci di portare avanti una relazione in modo consensuale e paritario, si scagionano dalla colpa portando, come motivazione, proprio il sentirsi umiliati. Da veri narcisi si autoassolvono, e spostano il senso della propria colpa sulla vittima,come se fosse corresponsabile».
Bisogna partire dalla scuola
La battaglia culturale evidentemente è ancora lunga: «Oltre alle necessarie misure di prevenzione e punizione, oltre ai centri anti-violenza, il lavoro a lungo termine dev’essere sulla percezione, sulla rappresentazione di sé che hanno gli uomini», insiste la filosofa. «Perché si sentono umiliati? Perché ammettono di non saper gestire le emozioni? Bisogna che riflettano su che cos’è un rapporto rispettoso». Conclude Elena Caneva: «La sensibilizzazione deve partire a scuola. Se le bambine introiettano che è normale essere buone e tranquille e che per natura sono portate a curare i figli e la casa, da grandi parteciperanno meno al mercato del lavoro e dipenderanno sempre da una figura maschile, padre e marito. Non saranno mai libere. Gli stereotipi di genere vanno combattuti dall’infanzia, solo così si inciderà sulle cause della violenza».
Un segno rosso in serie A
Per la quarta volta il mondo del calcio scende in campo al fianco di WeWorld in difesa dei diritti delle donne, contro ogni forma di prevaricazione: sabato 27 e domenica 28, in occasione della 14° giornata di andata di campionato della Serie A Tim, le gare si coloreranno di rosso – il colore del cartellino – per la campagna di sensibilizzazione #unrossoallaviolenza. I giocatori e gli arbitri avranno un segno rosso sul viso, mentre i capitani indosseranno la fascia simbolo della giornata: una partecipazione importante, un segnale che servirà a coinvolgere i tifosi. In tutti gli stadi, inoltre, sui maxischermi verrà trasmesso uno spot per ricordare l’importanza del cartellino rosso per dire basta alla violenza. Madrina dell’edizione 2021 sarà Alice Campello. Fra le ambassador, Elisa Di Francisca, Benedetta Porcaroli, Rossella Brescia, Carolina Crescentini.
iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA