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LE DONNE TUNISINE IN PIAZZA: IL PAESE NON TORNA INDIETRO

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Donne e uomini in piazza a Tunisi con lo slogan «La donna è il simbolo della Tunisia»

 «Non toccare i nostri diritti»

di Francesca Paci, Roma

Adesso gli uomini di Ennhada cominciano a fare retromarcia, il sito ufficiale del partito spiega che c'è stato un fraintendimento e nessuno di loro voleva mettere in discussione l'emancipazione femminile», racconta lo scrittore tunisino Walid Soliman. Lunedì sera c'era anche lui in piazza a Tunisi per chiedere il ritiro della bozza della nuova Costituzione (approvata con i voti di Ennhada) che nell'articolo 28 evoca la «complementarietà» invece dell'uguaglianza dei sessi, messa nero su bianco nel 1956 dall'allora presidente Bourguiba: «Ce la faremo, i liberali hanno sempre meno paura dei fondamentalisti e stavolta in corteo c'erano molte donne velate che gridavano slogan contro il governo».

La più grande manifestazione dell'opposizione contro il governo guidato da Ennahda, i Fratelli Musulmani tunisini, segna un punto a favore dei laici nella battaglia tra progressisti e ultraconservatori che infiamma il Paese dalla cacciata di Ben Ali. Come nel caso egiziano, le elezioni tunisine hanno portato alla ribalta gli islamisti, tanto i sedicenti moderati di Ennhada quanto gli irriducibili salafiti che, assai meno interessati alla politica, minacciano da mesi la società più aperta del mondo arabo.

A dare coraggio ai liberali, inizialmente spiazzati dalla rivoluzione dei gelsomini che pure avevano guidato, sembra essere stata però la voracità degli avversari che, non paghi della maggioranza parlamentare, hanno attaccato uno dei capisaldi della Tunisia post coloniale, il Majallat al-Ahwal al-Shakhsiyah, il codice civile del 13 agosto 1957 che abolisce la poligamia e istituisce il divorzio e il matrimonio civile, premessa culturale al diritto di voto attivo e passivo ottenuto dalle donne tre anni dopo.

«Ormai abbiamo imparato che per avere qualcosa dal nuovo governo dobbiamo sempre vigilare e fare pressione» osserva l'architetto ventottenne Samia Belhadj. Alla manifestazione, organizzata dalle associazioni femminili e dei diritti umani, è andata con una foto della coetanea Habiba Ghribi, la prima tunisina a vincere una medaglia olimpica in barba agli insulti dei connazionali islamisti, indignati per la sua «succinta» mise sportiva.

La Costituzione, la cui bozza sarà discussa a ottobre, dovrebbe essere adottata dall'Assemblea Nazionale Costituente ed eventualmente votata il prossimo aprile, a ridosso delle elezioni. Finora il partito Ennhada si era mosso con cautela, barcamenandosi tra le garanzie democratiche reiterate dal leader Rachid Ghannouchi (uno che ci tiene a mostrarsi a suo agio nello stringere la mano alle giornaliste) e la pressione dei salafiti. Adesso si decide: i nodi vengono al pettine.

«La reazione pubblica all'articolo 28 è stata molto esagerata» ripete Souad Abderrahim, membro di Ennhada nella Costituente. Secondo lei il problema non esiste, anche perché la parola «uguaglianza» sarebbe già menzionata nell'articolo 22: «Si tratta solo di una bozza, non del testo definitivo. Abbiamo scritto che le donne e gli uomini sono complementari l'una all'altro e non che le donne sono un complemento degli uomini».

Il problema è lessicale ma la forma può pregiudicare il contenuto. E nella Tunisia che, pur avendo registrato una crescita del turismo (+36%) e degli investimenti esteri (+45%), fatica ancora a rimettersi al passo con quella Storia moderna raggiunta con la fine del regime un anno e mezzo fa, le parole pesano come pietre.

«Il rischio di regressione non riguarda solo la questione femminile ma l'intero modello sociale tunisino» chiosa l'avvocato Sadok Belaid. I diritti prima di tutto. Il resto è complementare.

http://www3.lastampa.it

 

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