Pari opportunità e merito sepolto - Politica
Le pari opportunità non le hanno inventate le signore Boldrini e Kyenge. Né tanto meno la sinistra. Il concetto, applicato a un ambito socioeconomico, si trova alla base della visione liberale delle origini, quella che aveva tra i suoi scopi la lotta ai monopoli di qualunque natura. Pari opportunità significava che tutti dovevano avere la garanzia di affrontare la libera concorrenza partendo dalle stesse condizioni, indipendentemente dal ceto e dal censo. Il colore della pelle, il genere e l'orientamento sessuale non venivano menzionati, perché era ovvio che una donna nobile aveva opportunità maggiori di un uomo della plebe e un ricco mercante color caffellatte non temeva certo la concorrenza di un povero contadino bianco. Non riuscendo a realizzare mai questa uguaglianza alla partenza, il liberalismo è finito anch'esso nel cassetto delle utopie irrealizzabili. Le pari opportunità sono diventate di recente un surrogato ideologico per una sinistra che aveva archiviato i progetti di rivoluzione sociale tramite la lotta di classe.
Realizzando il peggior incubo per gli amanti del diritto - e cioè facendo scaturire da un principio legittimo leggi che realizzano il suo contrario - sono stati inventati i due mostri giuridici della "discriminazione positiva" e del "politicaemente corretto". La prima, partendo dall'elencazione delle discriminazioni in base alle quali non è concepibile che si neghino diritti universali (e cioè sesso, religione, razza e orientamento sessuale) è giunta a sostenere che chiunque possa identificarsi in queste categorie debba essere per quella sola appartenenza privilegiato. Il politically correct è arrivato a peggio, cioè all'elencazione delle parole che possono essere utilizzate e le opinioni che possono essere espresse, sostenendo che debbano essere vietate quelle che - a giudizio insindacabile del legislatore - siano opinioni che negano le giuste opinioni. Con questi paradossi la sinistra mira a ottenere quella disgregazione sociale che con le armi non poteva realizzare, perseguendo per legge i suoi storici nemici: la famiglia tradizionale e l'identità nazionale. Un'ottima strategia a ben vedere, perché le parole sono la moneta corrente della politica (infatti il luogo preposto nelle democrazie al confronto si chiama "parlamento") e togliere all'avversario il diritto di utilizzare le "sue" parole vale a ottenere la vittoria senza nemmeno combattere. Che la retorica delle pari opportunità per la sinistra sia puramente strumentale salta agli occhi facilmente se l'essere donna vale solo come valore aggiunto per avere un posto in lista, dichiararsi omosessuale per ottenere la candidatura a una presidenza o un incarico di partito e l'appartenere a una minoranza etnica per servire come "decorazione" da ostentare su palchi di varia natura.
A ben vedere infatti, se c'è una fazione politica che - almeno col genere femminile - le pari opportunità le ha realizzate davvero e in base a meriti oggettivi è proprio quella opposta alla sinistra: vale a dire la destra, quella originale. Tutti conoscono, ma tutti dimenticano di menzionare, alcuni indiscussi record del mondo politico che viene dal Msi in questo campo. La prima donna a capo di un sindacato nazionale è stata Renata Polverini, proveniente dalla Cisnal. Il primo direttore donna di un quotidiano politico (il Secolo d'Italia) è stata Flavia Perina, molto prima di diventare anti-berlusconiana e di aderire a iniziative neo-femministe e per indubbi meriti giornalisti. Infine c'è la giovane Giorgia Meloni, prima donna in Italia a fondare un suo partito e prenderne la guida.
A ben vedere le pari opportunità dovrebbero riguardare le persone e non le loro caratteristiche periferiche. In una società di uguali dovrebbe essere considerato meglio veder premiato il proprio merito malgrado una differenza, piuttosto che unicamente grazie a una diversità. E questo si chiama meritocrazia.