Deontologia forense e rapporti con la stampa, debutta il nuovo Consiglio dell'Ordine
TERMOLI. Debutta a Termoli la nuova governance forense di Larino. Presso l’Aula Adriatico dell’Università del Molise di Termoli, si è tenuto,il Convegno sulla Deontologia Forense, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Larino.
I lavori sono stati coordinati da Micaela Bruno, delegata alla formazione presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Larino.
Hanno aperto i lavori con brevi ma significativi interventi Paola Cantelmi - Presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine Avvocati di Larino, Alessandro Carriero -Vicepresidente Aiga di Larino e Romeo Trotta, appartenente all’Ordine degli Avvocati di Campobasso - Presidente Aiaf Molise.
A seguire le relazioni di Antonio De Michele - Consigliere Nazionale Forense e Oreste Campopiano - Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Larino.
De Michele, dopo brevi cenni storici sulla deontologia forense, ha analizzato il codice deontologico e si soffermato ad illustrare con particolare attenzione le norme che disciplinano i rapporti di colleganza, i doveri dell’avvocato nel processo ed i rapporti con terzi e controparti.
Campopiano, invece, ha illustrato i principi generali che ispirano il codice deontologico e le proposte di modifica che recentemente sono avanzate dall’avvocatura.
Quest’ultimo ha salutato tutti citando un passo del grande giurista Piero Calamandrei: «Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore.
Ma l'avvocato no. L'avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l'avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sè, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L'avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Non credete agli avvocati quando, nei momenti di sconforto, vi dicono che al mondo non c'è giustizia.
In fondo al loro cuore essi sono convinti che è vero il contrario, che deve per forza esser vero il contrario: perché sanno dalla loro quotidiana esperienza delle miserie umane, che tutti gli afflitti sperano nella giustizia, che tutti ne sono assetati: e che tutti vedono nella toga il vigile simbolo di questa speranza...
Per questo amiamo la nostra toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero, al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso, e, soprattutto, a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia.
Beati coloro che soffrono per causa di giustizia... ma guai a coloro che fanno soffrire con atto di ingiustizia!
E, notate, di qualunque specie e grado di ingiustizia... perché accogliere una raccomandazione o una segnalazione, favorire particolarmente un amico a danno di un estraneo o di uno sconosciuto, usare un metro diverso nella valutazione del comportamento, o delle attitudini, o delle necessità degli uomini, è pur questo ingiustizia, è pur questo offesa al prossimo, è pur questo ribellione al comando divino».