De Sade e le pari opportunità (nel piacere)
«Con che diritto gli uomini esigono da noi donne tanto ritegno nella condotta, quando da parte loro ne hanno così poco? Non vedete che sono loro che hanno fatto le leggi, e che il loro orgoglio e la loro intemperanza ne guidavano la redazione?». «E se l’onore fosse solo un mezzo astuto che gli uomini utilizzano per ottenere sempre di più dalle loro donne, per legarle a loro con più forza? A un uomo è permesso abbandonarsi a tutti i vizi che possano piacergli senza che questo intacchi il suo onore, mentre la donna che lui trascura lo disonora se fa ricorso ad un altro”. “Gli uomini devono smettere di giudicare non degne di stima le ragazze che, prima di conoscerli, non hanno aspettato per donare loro ciò che hanno di più prezioso».
È il marchese de Sade, alla fine del 18esimo secolo, a scriverlo. Il Divin Marchese è ben conosciuto per i suoi libri erotici, tanto che proprio dal suo cognome è nato l’aggettivo “sadico”. Meno conosciuto, però, è il suo lato filosofico: nei suoi libri si parla sì di sesso, ma soprattutto di filosofia e i protagonisti delle sue opere spesso e volentieri disquisiscono di diversi argomenti, dalla morale all’esistenza di Dio.
Meno conosciuta ancora, però, è la sua attenzione per le donne e le pari opportunità (perlomeno nel vizio). Le frasi sopraccitate sono tratte da Juliette ovvero le prosperità del vizio, un romanzo erotico pubblicato nel 1801. A leggerle non sembra di sentire i punti di vista di una donna di oggi?
La prima volta che mi sono imbattuta in queste frasi, contenute in un lungo monologo in cui la badessa del convento dove viene educata la protagonista Juliette la istruisce sui diritti delle donne contrapposti all’opinione pubblica del tempo, sono rimasta sbalordita. Ero ancora un’adolescente e spesso con le amiche discutevo dell’ingiustizia dell’opinione pubblica, per la quale se una ragazza ha tante esperienze è una poco di buono mentre se le ha un uomo è considerato un gran seduttore. Dite che è un dibattito ormai sorpassato? Temo non sia così, anzi. E ritrovarlo nelle opere di de Sade due secoli fa mi aveva dato parecchio da pensare.
Mi è tornato in mente di recente, discutendo durante una riunione della 27esima ora sul ruolo della donna nella storia della letteratura e del teatro. Di protagoniste ce ne sono parecchie, ma spesso fanno una brutta fine. Invece in de Sade no. Anzi, in “Juliette” di donne ce ne sono tante e molte vincenti. Non lo dico solo io: facendo un po’ di ricerche ho scoperto che la scrittrice inglese (autrice di diverse opere femministe) Angela Carter nel 1979 ha pubblicato un saggio intitolato La donna sadiana in cui pone l’accento sul «diritto ad una sessualità libera anche per le donne» nelle opere di de Sade. Non solo: secondo la Carter il marchese «mette la pornografia al servizio delle donne» rafforzando così la concezione di una separazione della sessualità femminile dalla mera funzione riproduttiva.
Basta esaminare le figure principali del romanzo per accorgersene. Juliette, per cominciare, è una ragazza che prende in mano il suo destino: alla morte dei genitori esamina le sue possibilità e trova il modo di diventare ricca e potente, utilizzando la sua bellezza per diventare una cortigiana ed intessere relazioni con persone influenti. Non si piega alla morale dell’epoca, restando libera ed indipendente, per gran parte del libro. Non ha paura di esporre le sue opinioni e di dimostrare quanto valgano, al punto da finire a discutere dell’esistenza di Dio con il Papa. La sua più cara amica, madame de Clairwil, è una vedova che ha scelto di non aver figli (e rivendica questa sua decisione), ama le donne e detesta gli uomini che usa e disprezza.
Non sono le uniche donne interessanti del libro: nell’opera spuntano di continuo figure femminili forti e indipendenti. Per esempio la badessa del convento dove viene educata Juliette, la fattucchiera che vende a lei e a Clairwil dei veleni, due ragazze incontrate in un circolo di libertini che dichiarano che non si sposeranno mai, «meglio morire che incatenarci a degli uomini». Al netto di torture e perversioni, insomma, tutte donne indipendenti che rivendicano il diritto di scegliere da sole come gestire la propria vita. Non a caso accanto a loro non hanno né mariti né compagni, non hanno paura di esercitare il potere (come la badessa o la presidentessa del circolo libertino) o di lavorare per conto proprio (come la fattucchiera). Non hanno paura nemmeno di fare scelte contrarie a quello che doveva essere il ruolo di una donna nella società dell’epoca: non vogliono sposarsi (le due ragazze del circolo libertino, ma pure la stessa Juliette), non hanno figli (Clairwil). A proposito di figli, in un particolare passaggio la badessa sostiene pure che «è l’educazione che dona i sentimenti filiali (…), un figlio amerà l’uomo che lo ha cresciuto quanto e forse anche di più che se lo avesse concepito».
A rileggere de Sade, insomma, il vero romanzo datato e dal sapore antiquato (almeno per quanto riguarda il ruolo della donna) pare essere il ben più attuale 50 sfumature di grigio. Dove la protagonista, vergine, viene iniziata al sadomasochismo da un uomo che poi la sposa. Juliette, davanti alle pretese di mister Grey, si farebbe una bella risata. E non se lo sposerebbe mai.