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San Marino. L’Authority pari opportunità contesta una pubblicità con donna nuda: "Evoca modello donna oggetto"

Scritto da Google News. Postato in Pari Opportunità

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Tribuna, senza togliere nulla a nessuno, rappresenta certamente il media che negli ultimi anni si è distinto per le battaglie di genere, per i diritti degli omosessuali, per i diritti civili e per la difesa delle minoranze e i diritti delle donne. E’ anche grazie alla massiccia campagna culturale portata avanti da Tribuna ad esempio, se oggi con orgoglio ospitiamo in Repubblica famiglie di rifugiati. Sempre Tribuna è in prima linea nel combattere la violenza contro le donne e ad accendere costantemente i fari su un tema per molti ancora tabù. Accogliamo dunque con estrema attenzione e interesse la fissazione della comparizione della nostra testata per il 5 luglio davanti al Giudice amministrativo. Si tratta della cosiddetta “causa di volontaria giurisdizione” promossa dall’Authority per le pari opportunità a seguito di una pubblicità pubblicata anche sulla nostra testata. Ma veniamo ai fatti. Con l’atto si chiede che “venga formalmente inibita la continuazione, e che ne siano eliminati se ed in quanto possibile gli effetti, della pubblicità apparsa (…) nei giorni 1 e 7 maggio 2016 e 4 giugno 2016”. A parere degli istanti, detta pubblicità “è evidentemente lesiva della dignità femminile”. Si aggiunge che “vengono commercializzati “capi unici, realizzati a mano” con “tessuti pregiati altamente selezionati”, la proposta commerciale viene accompagnata dalla rappresentazione “di un’immagine di donna completamente nuda, che evoca il modello della donna oggetto”, rappresentazione “certamente lesiva della dignità personale della donna stessa e proibita dal disposto dell’articolo 3, comma 2, della legge 20 giugno 2008 n. 97, il quale stabilisce come sia ‘vietato utilizzare, anche a fini pubblicitari, immagini ed espressioni lesive della dignità e della identità della persona, o aventi contenuto discriminatorio, ivi comprese quelle contenenti riferimenti all’orientamento sessuale della persona o alla identità di genere’”. La relazione accompagnatoria della legge chiarisce altresì come “si devono pertanto considerare non consentiti gli annunci pubblicitari o i servizi che rappresentino le donne in modo vessatorio, sia utilizzando il loro corpo o parte di esso come mero oggetto svincolato dal prodotto che si intende pubblicizzare, sia la sua immagine associata a comportamenti stereotipati che inducono a generare violenza, come la mancanza di capacità decisionale”. Alla luce di tutto questo gli istanti chiedono al giudice amministrativo “di inibire la continuazione della pubblicità oggetto di segnalazione, intesa come inibizione della eventuale reiterazione della medesima pubblicità sulla testata giornalistica o su qualsiasi altro mezzo di diffusione al pubblico”. La tematica è molto interessante soprattutto in questi giorni in cui è stata approvata da parte dei giornalisti la loro prima carta deontologica. Le argomentazioni generali proposte dall’Authority non possono che trovarci perfettamente d’accordo, tanto più che con la presidente Monica Michelotti esiste un proficua e costante collaborazione per portare avanti assieme temi vitali per un Paese che vuole considerarsi civile. Ben venga dunque l’iniziativa legale che ci aiuta ancora una volta a parlare di dignità femminile e violenza di genere, ricordando così a tutti dell’esistenza della causa di volontaria giurisdizione e di una legge che permette a chiunque di richiedere eventualmente un intervento in caso di presunta violazione.

Premesso tutto questo può aiutare capire che cosa fanno i nostri vicini dove esiste una giurisprudenza molto più vasta in casi analoghi. In Italia c’è lo Iap, l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria ovvero quell’ente privato che dal 1966 regolamenta la comunicazione commerciale per una corretta informazione del cittadino-consumatore e una leale competizione fra le imprese. Le norme da rispettare sono contenute nel Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e sono applicate dal Comitato di Controllo e dal Giurì. All’osservanza del Codice sono tenuti tutti gli operatori pubblicitari che, nella loro maggioranza, aderiscono all’Istituto e riconoscono la sfera d’azione dei suoi organi. Il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) e lo IAP a propria volta hanno rinnovato lo scorso 1° febbraio un protocollo, siglato nel gennaio 2011 con l’allora Ministero per le Pari Opportunità, che mira a rendere più efficace la collaborazione tra le due Istituzioni nel controllo delle pubblicità ritenute lesive della dignità. L’attuale versione del Protocollo estende il proprio raggio di azione alla tutela della dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni, al fine che si eviti ogni forma di discriminazione. Il Codice di Autodisciplina consente di attivare un controllo efficace della comunicazione commerciale, che in particolare agli articoli 9 e 10 è specificatamente preordinato ad impedire che venga offesa la dignità della persona.

Questo perché ognuno deve assumersi la proprie responsabilità: i giornalisti non possono essere responsabili anche della pubblicità. Senza contare la difficoltà per le imprese a mantenersi in piedi. Diventa spesso molto difficile rinunciare a dei contratti in assenza di linee guida chiare. La nostra testata ad esempio, anche nel recentissimo passato, si è rifiutata di pubblicare alcune particolari pubblicità. Allo stesso tempo le pubblicità, che sono chiaramente distinte dalle notizie, sono slegate né sono espressione dalla linea editoriale. Tanto è vero che della linea editoriale risponde un direttore responsabile, mentre della pubblicità si occupa un commerciale che è figura completamente diversa. Il tema naturalmente è fortemente dibattuto. In Italia ancora oggi ci si chiede se un giornale debba o possa pubblicare gli annunci “pseudo erotici”, dove ad esempio si propongono “accompagnatrici” o “massaggiatrici”. Quando poi una immagine può essere definita lesiva della dignità di chicchessia? In alcuni casi la risposta è palese. In altri no. E allora le pubblicità che sempre più spesso vedono protagonisti minori? Insomma c’è il rischio concreto di sfociare in una censura indiscriminata se si fa entrare di tutto nel calderone. Ancora, si può rischiare l’effetto contrario. Grazie a Dio invece, non abitiamo in quei Paesi dove è in vigore una costituzione religiosa, dunque una donna è liberissima di girare scollata e di mettere in mostra le gambe senza che nessuno la debba etichettare o molestare.

Arrivando al caso in questione – detto che la medesima pubblicità è stata pubblicata anche da altre testate – dobbiamo dire che per quanto ci siamo sforzati non ci abbiamo trovato nulla di particolarmente scabroso. C’è una bella ragazza che si adagia su alcuni veli, come a dire “non ho bisogno di altro se non di questi capi”. Non ci sembra né sconcia, né offensiva. Potremmo dire che basterebbe accendere qualsiasi tv o aprire qualsiasi giornale italiano o sito internet per trovare molto di peggio: ma noi guardiamo in casa nostra. E restiamo comunque convinti che l’iniziativa dell’Authority rappresenti un modo per innescare un costruttivo dibattito e alzare nuovamente l’attenzione sul tema. Proprio per questo motivo abbiamo deciso di aprire il giornale con una notizia che potrebbe essere percepita come contro di noi (ovviamente così non è): ulteriore e concreto attestato della vicinanza di Tribuna e dell’attenzione della nostra testata al prezioso e insostituibile lavoro dell’Authority. Attenzione però a non finire, come si dice, dall’altra parte: fare passare per lesivo della dignità femminile ciò che non lo è ci avvicina a quel burqa o a quel velo islamico integrale – che qualcuno vorrebbe imporre – così lontano dai nostri valori occidentali. In ogni caso come detto il dibattito resta apertissimo e ci piacerebbe che partiti, associazioni e lettori vi partecipassero. Allo stesso tempo si potrebbe cogliere l’occasione per istituire anche a San Marino una autorità di autodisciplina della pubblicità in collegamento con l’Authority. Infine, pur non condividendo la richiesta dell’Authority in questo singolo e particolare caso, ci impegniamo sin d’ora e ancora prima della pronuncia del magistrato a non pubblicare più tale pubblicità. In attesa di interventi o linee guida più chiare però, per il futuro, chiediamo e auspichiamo una interpretazione più “europea” da parte dell’Authority di quanto ritenuto “dignitoso” e quanto invece no, nell’interesse delle donne stesse. Rimarcando ancora una volta che noi di mestiere facciamo i giornalisti e dovremmo rispondere dei pezzi che scriviamo e non certo della pubblicità della testata.

(Nella foto una delle immagine incriminate: ai lettori ogni giudizio)

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