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Virzì il sentimentale: "Oggi mi sento vulnerabile, temo più voi degli americani" - Venezia 2017 - Spettacoli

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Argomenti:
Interviste Spettacoli
venezia 2017
Protagonisti:
paolo virzì

VENEZIA - "LA NOTTE scorsa non ho chiuso occhio. Ero in preda allo struggimento livornese. Pensavo: non avrò fatto una cavolata a portare il film a Venezia?". Paolo Virzì gioca con la sigaretta elettronica, l'apprensione negli occhi. Seduto nel ristorante vuoto dell'Hotel Hungaria fatica a realizzare che sì, il suo Ella & John-The Leasure Seeker, primo film italiano in concorso, il suo ritorno al Lido a vent'anni da Ovosodo, è stato accolto da risate, emozione, applausi. È il racconto del viaggio in camper sulle strade dell'America di due anziani è girato in inglese, con due glorie del cinema, Helen Mirren e Donald Sutherland (in sala il 24 gennaio).

Perché tanta paura di essere qui?"Avevo il ricordo bello di quando venni con Ovosodo, da outsider, mentre lasciavo l'Excelsior mi fermò Laudadio per dirmi che avevo preso il Gran premio della giuria. Nel frattempo sono passati tanti anni e qui ho visto lapidare tanti colleghi".

I suoi ultimi film sono andati bene. Perché questa fragilità?"Curiosamente l'esperienza non mi ha portato a costruirmi una corazza, ma ad espormi. Mi capita di piangere più spesso, di essere insonne. E mi preoccupo. Mi piaceva la leggerezza scanzonata con cui avevo preso all'inizio il cinema. Cerco l'ispirazione autentica nel mio privato, anche la morte e il dolore, per trasformarlo in racconti cinematografici apparentemente lontanissimi. Alla fine il guaio è che uno può scappare dal proprio paese e dalla propria lingua, ma non da se stesso. Sono andato sulla East Coast americana e mi chiedono se questo è il seguito di La pazza gioia ".

In concorso anche sua moglie Micaela Ramazzotti con il film di Sebastiano Riso. Apprensivo anche per lei?"Sì, tanto. Perché lei è innocente. Il suo è un film molto coraggioso e anche scandaloso. Micaela è stata audace: non ha paura di mostrare le proprie fragilità e ferite. Quel film lo ha fatto con intensità ma anche in modo liberatorio. Tornava a casa di buonumore, come se avesse sfogato tutto il suo dolore sul set. Invece ai tempi di La pazza gioia finiva per portare il personaggio di Donatella a casa, facendomi preoccupare. Questo giovane regista è stato più bravo di me: l'ha venerata come una musa, e lei mi rimprovera di non aver fatto altrettanto".

Fin dall'inizio aveva in mente la coppia Sutherland-Mirren?"Sì. I produttori pensavano anche a Fonda e Redford, ma io volevo loro: Helen e Donald. Erano perfetti per incarnare lo spirito ribelle dei personaggi, che non vogliono separarsi per essere curati. Sutherland è un pezzo di controcultura americana, Helen si è battuta per i diritti delle donne. Sono espressione dell'America progressista, anche se lui è canadese e lei britannica ".

Il loro rapporto sul set?"Lui appartiene alla generazione del Metodo: era diventato John. Lei arrivava la mattina parlando del Salento e della cucina pugliese, poi al ciak diventava Ella. Prendeva in giro Donald e lui, beh, sono convinto che se ne sia segretamente innamorato ".

I social parlano già di Oscar per Sutherland."Perché lui non lo ha mai preso, lei sì. Io all'Oscar non ci penso, i produttori sì. Idea divertente, ma sono scettico. Già non mi aspettavo che il film fosse venduto in novanta paesi... ".

Il film parla della libertà di scegliere come arrivare alla fine della propria vita."L'idea è riuscire a vivere anche malconci, ma con libertà. Senza essere ostaggio di istituzioni o consuetudini, anche a dispetto del parere di persone care, come sono i figli. La libertà può essere dolorosa, ma in fondo genera felicità".

Lei la farebbe, questa scelta?"Chissà, magari. Speriamo di averne il coraggio. Meglio un finale con i fuochi d'artificio, coraggioso e oltraggioso piuttosto che vivere in gabbia".

La sua America è più attuale e meno turistica che nel libro."Ho cercato la verità. Ho lasciato Disneyland e la Route 66 per la Route 1 che porta alla casa di Hemingway. E poi sì, ho messo profughi siriani alla pompa di benzina e la tensione di un'estate, quella del 2016, attraversata dalla campagna elettorale aggressiva di Trump. Negli Stati del Sud vedevamo i cartelli che auguravano la galera a Hillary Clinton".

Il suo co-sceneggiatore Stephen Amidon non voleva filmare il vero corteo pro Trump, sosteneva che nessuno se lo sarebbe ricordato..."Io gli rispondevo che noi abbiamo già passato vent'anni fa una stagione in cui tutti dicevano "non è possibile"...".

Il prossimo film lo girerà a Roma. Non si è stufato di raccontare la borghesia italiana, quindi?"No, no, eccola che risbuca. Ci sarà Roma, la fine degli anni Ottanta, la stagione del cinema italiano, quando erano ancora tutti vivi e Fellini girava il suo ultimo film".

Ci sarà un confronto con quello di Sorrentino su Berlusconi?"Ma no, facciamo un cinema diversissimo. Io racconterò la Roma del Pentapartito, prima dell'arrivo del tifone Mani Pulite".

Com'è cambiata la borghesia?"Esiste in tante forme. La borghesia ha avuto sempre qualcosa di selvaggio, penso a quella raccontata da Ettore Scola in C'eravamo tanto amati. Nel frattempo è cambiata l'Italia, ci sono state altre stagioni, speriamo di riuscire a raccontarle per bene. Per fortuna il materiale abbonda: basta per girare anche più di un film".

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