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Dacia Maraini: Ho raccontato un milione di donne

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Con gli occhi bordati d’azzurro e un’esistenza eccezionale, che si intreccia con fatti e volti tra i più memorabili del Novecento, Dacia Maraini festeggia il successo di un milione di copie vendute del romanzo “La lunga vita di Marianna Ucrìa” (Rizzoli). In controtendenza rispetto al mercato editoriale, che sfratta in tempi record i romanzi dalle librerie, una storia uscita nel febbraio del 1990 si rivela più viva e amata che mai: 73 ristampe e nuove edizioni, traduzione in 25 lingue e diritti venduti in altrettanti Paesi, Cina inclusa.

E una protagonista che proietta la sua identità dalla Sicilia della prima metà del Settecento sino alle lettrici e ai lettori di oggi: ragazzina sola, muta, vittima della violenza e dello strapotere maschile. E se Marianna è in apparenza l’esatto contrario delle donne che hanno affollato la vita della scrittrice - forti, coraggiose, padrone del loro destino - , c’è una passione che fa da filo conduttore tra realtà e fantasia: la scrittura. Da sempre, e per tutte, strada di libertà.

«Le ragioni per le quali un libro ha successo, e continua ad essere amato, sono misteriose», nota la scrittrice: «Contano la storia, i personaggi, ma c’è anche qualcos’altro: dentro la scrittura c’è una struttura musicale invisibile, che non si riconosce ma si percepisce. È quella che crea un ponte con chi legge, che emoziona e fa scattare intimità. Credo che in Marianna i lettori colgano questa musica interna».Fil rouge che arriva fino alle donne d’oggi.«È il filo che lega i destini di tutte le donne. Se facciamo un’analisi proiettata nei secoli, vediamo che molte cose non sono affatto cambiate. Ci sono donne alle quali è ancora negata la parola. E il corpo di Marianna Ucrìa, che reagisce alla violenza col mutismo, rappresenta la parola tagliata nella storia. Noi parliamo da donne emancipate - anche se poi, a guardarci intorno, ci sono situazioni di fragilità estrema anche nel nostro mondo. Ma ci ritroviamo a gioire ad esempio perché le donne in Arabia possano cominciare a guidare: per la prima volta, non devono essere accompagnate, si affrancano dal controllo capillare maschile».

Nell’anno di uscita del libro emerge chiaramente, in Italia, il sorpasso delle donne sugli uomini in termini di abitudini alla lettura. Anche Marianna Ucrìa è donna che legge, per quanto la sua passione sia osteggiata. Le donne che leggono restano pericolose?

«Basti pensare a Malala. Sono pericolose da sempre. La religione è stata sospettosissima: verso quelle che leggono e verso quelle che scrivono. La scrittura rimasta sepolta nei conventi è piena di testi di bellezza esemplare, totalmente cancellati. Le mistiche hanno scritto testi meravigliosi. Che oggi, per fortuna, cominciano a uscire dai cassetti».

Anche se il deficit femminile resta evidente. Nel libro che Concita De Gregorio le ha dedicato per i suoi 80 anni, “Non chiedermi quando”, è lei stessa a porre la domanda: dove sono le donne nella letteratura?«Non ci sono. Sono estromesse da tutte quelle istituzioni letterarie dove si stabiliscono valori e modelli. Non ci sono nelle università, nelle scuole, nelle antologie: non sono ritenute esempi autorevoli. Si studia Calvino, Moravia, si leggono Landolfi, Bassano. E le donne dove sono? Dove sono Lalla Romano, Anna Maria Ortese, Natalia Ginzburg, Fausta Cialente? Persino Grazia Deledda ha un impianto critico miserabile rispetto ad altri protagonisti della letteratura. E sa cosa accade nelle università? Si scoraggiano gli studenti più ambiziosi dal fare tesi sulle scrittrici: come se alla fine desse meno prestigio».Dacia Maraini in un disegno di DuluozDiverse autrici pongono periodicamente il tema: ma ritiene davvero sostenibile che le donne di scrittura contino ancora meno degli uomini?«Sono critiche fondate, anche se non si può dire che il mercato oggi sia discriminatorio rispetto alle donne: non foss’altro che perché la lettura riguarda prevalentemente l’universo femminile».

Lei è stata a lungo la compagna di Alberto Moravia. Con Elsa Morante, che ne era stata moglie, ha mai affrontato l’argomento?«Sì, ne parlavamo. Ma Elsa non lo accettava, si infastidiva. Apparteneva a una generazione per la quale parlare di scrittura femminile evocava qualcosa di inferiore: una scrittura sentimentale, verbosa, edulcorata. Perciò respingeva l’etichetta con energia. Odiava persino la parola “scrittrice”: Elsa si definiva solo “scrittore”. Non possedeva l’orgoglio della parola declinata al femminile, che è stata una consapevolezza emersa con il femminismo. Però, quando scriveva, aveva un forte sentimento d’orgoglio della sua identità di donna».

Ma femministe si è per sempre? Lei si ritiene ancora femminista?«Sì. Però poiché è caduta l’ideologia del femminismo, anche la parola è morta.

Oggi, più che femminista, tendo a dire che sto dalla parte delle donne”, “mi batto per i diritti delle donne”. Questo percorso è evidentissimo tra le più giovani, che detestano la parola “femminismo”, pur essendo più radicali di quanto non fossimo noi rispetto a certi temi».

Il femminismo è fallito?«Il femminismo è storicamente morto, come sono morte tutte le grandi ideologie. È stato un momento storico di un movimento unito da un sentimento identitario, sostenuto da una grande utopia. Ma le ideologie, una volta applicate, sono state in generale dei disastri. Il femminismo ha esaurito la sua carica ideologica. Naturalmente ci sono, per il mondo, moltissime iniziative interessanti e reti femminili. Senza, però, quel sentimento collettivo che si accompagnava all’utopia».

Parlavate. Andavate nelle case delle donne a spiegare i loro diritti. Il teatro era un potente strumento di informazione. Poi avete smesso di parlare. Ma gli obiettivi non sono certo stati raggiunti. Gli stupri sono cronache quotidiane. Il racconto di Marianna, che dimentica le parole dopo la violenza, è drammaticamente attuale.«Sì, c’è un acutizzarsi della violenza sessuale. Lo stupro è un’arma di guerra inventata dagli uomini: gli animali non stuprano. È un atto di umiliazione e di sopraffazione sulle donne del nemico. Quando una società è gerarchicamente organizzata in modo chiaro, gli stupri si riducono. Di stupri invece è piena la società: al cinema, nei fumetti. Quando le donne diventano autonome, scatta questo atto di guerra».

Siamo in guerra?«Non è una guerra tra uomini e donne, ma tra due forme di cultura. Esattamente come accade tra i musulmani che credono nella storicizzazione del Corano e quelli che vorrebbero applicarlo alla lettera, c’è una parte che accetta la storia, le evoluzioni sociali, le trasformazioni nei ruoli maschili e femminili. E una parte che non accetta tutto ciò».

La sua vita è punteggiata da donne straordinarie. Chi è la figura più coraggiosa che le viene per prima in mente?«Mia madre, una donna di un coraggio leonino. Ha convinto gli uomini del campo a fare uno sciopero della fame in un contesto nel quale già si moriva di fame. Prendeva le lenzuola, cuciva le camicie per i poliziotti pur di avere in cambio per noi una patata. Anche quando non camminava più - avevamo il beriberi, lo scorbuto - non l’ho mai vista piangere né brontolare. Aveva tre bambine da salvare».

Topazia Alliata, principessa e pittrice.

«Mio padre Fosco era sempre in giro per i suoi studi di antropologia, è lei che ci ha tirati su, con coraggio estremo».

Ha fatto riferimento alla sua infanzia in Giappone. Dal 1943 al 1946 la sua famiglia fu internata in un campo di concentramento. Un’esperienza che l’ha segnata per sempre.«La fame e la povertà non si dimenticano mai».

Per questo la bambina affamata, la solitudine, la paura, ricorrono nei suoi libri?« Ho vissuto nel campo di concentramento tra i 7 e i 9 anni. È vero, probabilmente da quella mia esperienza trae origine la mia attrazione per gli ultimi, per gli antieroi. Sa qual è il mio libro preferito? Lazarillo de Tormes. Un romanzo di un anonimo scrittore spagnolo, con un giovane vagabondo per protagonista, che fa di tutto, aguzzando l’ingegno, per procurarsi da vivere. Sempre affamato, sempre in viaggio».

La dimensione del viaggio appartiene molto anche a lei.«Mia nonna paterna, la scrittrice Yoi Crosse Pawloska, per metà polacca e per metà inglese, era una donna incredibile. Zaino in spalla, da sola, se ne andava in giro per il mondo, per la Persia ad esempio, e tornava avendo scritto libri interessantissimi. In famiglia ho avuto molti esempi di donne coraggiose, che prendevano in mano la vita. E la facevano propria».

Lei si ritiene coraggiosa?«Cerco di esserlo».

Difficile ritrovare comitive memorabili, con Moravia e Pasolini in testa, come quelle dei suoi viaggi in Africa o in India...« Quel tempo è finito. Oggi per cinque-sei mesi all’anno vivo a Pescasseroli, l’unico posto dove ritrovo la concentrazione per scrivere. Ma non è finito solo per me: si è perso quel senso di comunità letteraria e artistica che aveva il gusto di stare insieme».

Anche Maria Callas è stata una sua compagna di viaggio. Che donna era, nel suo ricordo?«La conoscevo dal palcoscenico: pensavo fosse un drago, una donna autoritaria, potente e capricciosa. Un giorno Pier Paolo mi annunciò che sarebbe venuta con noi in Mali. Io pensai: “Oh, no. La diva no...”. Ma quando la vidi arrivare, coi jeans e la sua piccola valigia in mano, cambiai immediatamente idea. Nella vita privata aveva un candore, un’ingenuità, un infantilismo persino, che mi facevano provare verso di lei profonda tenerezza. Fu un viaggio molto bello. Lei era innamoratissima di Pasolini, e decisa a “guarirlo” per sposarlo. Pier Paolo, del resto, non la ingannava: anche lui la amava, pur se in modo platonico, e non lo nascondeva. Una sera dormimmo nella stessa stanza: lei cominciò a confidarsi, dicendo che aveva sbagliato tutti gli amori della sua vita. “Pensi che stia sbagliando anche adesso”, mi chiese? Sì, chiaramente. Era fragilissima, timida: e questa sua tenerezza ce la faceva amare».

Le reti di scrittori amici, però, esistono anche adesso...« Incontro i miei colleghi scrittori: ai festival, ai convegni, ma è un’altra cosa: quel mondo fatto da Pier Paolo Pasolini, Enzo Siciliano, da Cesare Garboli, da Natalia Ginzburg aveva la consapevolezza di essere una comunità. E si ritrovava per il puro piacere di vedersi. Comunque, io viaggio ancora molto per lavoro. C’era anche una sorella del mio nonno materno, con questa passione per il viaggio: si chiamava zia Felicita, non si sposò mai, ma coltivò le sue idee avanzate e libertarie nella Sicilia dei primi del Novecento».

Lei crede ancora nel matrimonio?«Mi sono sposata e mi sono separata. È un patto, non necessariamente da farsi in chiesa, ma è importante soprattutto quando si mettono al mondo dei figli. Mi piace perché rientra in un modo di pensare a progetti di lunga scadenza. Io sono per la responsabilità, e la cultura in cui viviamo è invece quella del mercato: bisogna essere bravi compratori, disponibili ai suggerimenti del mercato, e poco responsabili».

È mai stata tentata dalla politica?«Me l’hanno sempre chiesto, ma non mi ha mai interessato. Troppa fatica, troppe risse. Mi interessa però osservarla».

Chi sono le donne politiche che oggi apprezza di più?«Emma Bonino per il suo coraggio e per la sua coerenza. Mi piace molto Debora Serracchiani perché è sincera, generosa e appassionata. Rosy Bindi, che fa il suo lavoro con determinazione. E Laura Boldrini, continuamente attaccata: contro di lei è in atto una guerra».

Il 26 ottobre esce per Rizzoli il suo nuovo romanzo: “Tre donne. Storia d’amore e disamore”. Che ruolo ha l’amore nella sua vita?«C’è stato, ed è stato molto importante. Ma non l’ho mai feticizzato. Se c’è va bene, ma conta moltissimo anche l’amicizia. Di pari passo all’amore va il rispetto. Se non c’è il rispetto non vale la pena neanche l’amore».

Una nonna, una madre e una nipote esprimono nel libro la voce dell’amore in tre stagioni diverse. L’amore nella terza età comincia ad essere riconosciuto.« La nonna del romanzo ha 60 anni, ed è molto innamorata dell’amore. Però conosce la regola di questo mondo androcentrico, nel quale le donne sono escluse dalla vita sessuale. E cerca di sublimare la sua tendenza all’eros».

Non siamo ancora in tempi capaci di accettare l’amore a tutte le età?« Questo resta un privilegio degli uomini, che si sentono liberi di accompagnarsi a donne anche molto giovani. Una donna adulta che non vuole subire umiliazioni, o peggio ancora essere considerata una specie di strega assatanata, deve imparare a sublimare la sessualità. È inutile farsi illusioni. Bisogna imparare a contemplare, ad esempio. È bello anche quello».

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