Weinstein, agenti del Mossad per mettere a tacere le accusatrici | Ronan Farrow
Due agenzie di investigazione internazionale, agenti del Mossad che si fingevano attiviste per i diritti delle donne, soldi e minacce. È la rete che Harvey Weinstein avrebbe costruito intorno a sé in questi anni, per cercare di mettere a tacere chi era pronto ad accusarlo di molestie sessuali.
Le due agenzie di investigazione
Farrow parla di un vero e proprio sistema per mettere a tacere chi era pronto ad accusare il produttore americano: Weinstein, scrive, aveva a libro paga giornalisti, ex spie, agenti del Mossad che usavano false identità per entrare in contatto con le donne che volevano accusarlo di molestie. Tutto comincia nell'autunno del 2016, quando il produttore decide di «chiudere la bocca» alle donne che volevano raccontare pubblicamente delle violenze e delle molestie subite. Per questo ingaggia due agenzie di investigazione molto famose, il colosso Kroll e Black Cube, gestita da ex ufficiali del Mossad e agenti dell'intelligence israeliana.
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Rose McGowan, Ashley Judd e le altre accusatrici del produttore Harvey WeinsteinRose McGowan, Ashley Judd e le altre accusatrici del produttore Harvey Weinstein
Rose McGowan, Ashley Judd e le altre accusatrici del produttore Harvey Weinstein
Rose McGowan, Ashley Judd e le altre accusatrici del produttore Harvey Weinstein
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L'incontro con Rose McGowan
Due investigatori privati di Black Cube, sotto falsa identità, incontrano quella che diventerà la prima accusatrice di Weinstein, Rose McGowan. Una di loro, una donna si spaccia per avvocato nell'ambito dei diritti delle donne. Per mesi registra le conversazioni con l'attrice, almeno quattro gli incontri fra i due. È la stessa detective poi, con un'altra finta identità, a parlare con i giornalisti spacciandosi per una vittima di Weinstein. In altri casi c'erano dei reporter, a libro paga del produttore, che interpellavano le vittime per capire quali accuse fossero pronte a pronunciare nei suoi confronti.
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L'agente dalla falsa identità
L'obbiettivo era evitare che emergesse quello che poi ha pubblicato il «New York Times», il primo a parlare degli abusi. In alcuni casi, a occuparsi direttamente delle indagini sulle donne coinvolte, erano gli avvocati di Weinstein, tra cui David Boies, che aveva rappresentato nel 2000 Al Gore nella sua corsa alla presidenza americana. Era stato proprio Boies, spiega Farrow, a firmare il contratto con Black Cube. Nel 2017, a maggio, una donna di nome Diana Filip contatta la McGowan e la convince che sta lanciando un'iniziativa per combattere la discriminazione delle donne sul posto di lavoro. Le due si incontrano molte volte, parlando anche di Weinstein. La donna, in realtà una dipendente di Black Cube, si fa molto insistente, contatta anche Farrow per sapere cosa sappia delle accuse a carico del produttore. «Diana Filip» è risultato essere un nome falso, usato da un'ex agente delle forze di difesa israeliane. Un altro reporter ha raccontato di averla incontrata.
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Il dossier sulle vittime
Nel corso di un anno di lavoro gli investigatori e gli agenti speciali pagati da Weinstein aveva compilato informazioni su decine di persone: profili personali, vita privata, dettagli sulle loro relazioni sessuali. Materiale che doveva servire a screditare o a mettere a tacere le vittime di Weinstein e coloro che erano a conoscenza del suo modus operandi. Black Cube, dalla sua, non ha commentato le notizie in merito al lavoro svolto per conto del produttore, precisando che «è nella politica aziendale rispettare la privacy dei clienti e mai confermare o negare qualsiasi speculazione».
7 novembre 2017 (modifica il 7 novembre 2017 | 12:40)
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