Weinstein assoldò ex spie del Mossad per mettere a tacere le donne pronte a denunciarlo
Nell'autunno del 2016 Harvey Weinstein assoldò agenzie di sicurezza nel tentativo di insabbiare le accuse di molestie sessuali e violenze che di lì a poco sarebbero venute a galla. A rivelarlo è il periodico New Yorker, che in una lunga inchiesta utilizza dozzine di pagine di documenti e sette testimoni direttamente coinvolti nella vicenda per ricostruire il disperato sforzo del produttore americano di raccogliere informazioni su vittime e giornalisti che in quei giorni stavano montando il caso.
Tra le agenzie investigative contattate da Weinstein spiccano Kroll, società americana leader del settore con i suoi 3.700 dipendenti sparsi in oltre 35 Paesi, e Black Cube, impresa gestita da ex ufficiali del Mossad e di altre agenzie d'intelligence israeliane. Obiettivo delle indagini, esplicitamente dichiarato nel contratto siglato a luglio dello stesso anno da Weinstein con Black Cube, era quello di impedire la pubblicazione delle accuse che sarebbero poi emerse negli articoli di New York Times e dello stesso New Yorker. Per riuscirci, due investigatori privati della Black Cube usarono false identità e uno in particolare arrivò a fingersi un'attivista per i diritti delle donne con l'attrice Rose McGowen - una delle prime accusatrici di Weinstein - e una vittima del fondatore della Miramax con Ben Wallace, giornalista di New York che in quel periodo stava seguendo il caso.
Sul libro paga di Weinstein figurano anche giornalisti ed ex dipendenti delle sue imprese cinematografiche, che erano stati arruolati per intervistare le vittime e raccogliere informazioni su dozzine di nomi, nel tentativo di stilare dei veri e propri dossier concentrati sulla loro storia personale e sessuale. In alcuni casi lo sforzo investigativo era coordinato da David Boies, celebre avvocato della New York che conta, balzato agli onori delle cronache per aver rappresentato Al Gore nella controversia giudiziaria riguardo il risultato delle elezioni presidenziali del 2000. Boies firmò personalmente almeno uno dei contratti con la Black Cube, quello che dava mandato all'agenzia di fermare la pubblicazione di un articolo del Times riguardante gli abusi di Weinstein.
"Se ci fosse stata la possibilità di trovare prove per convincere il Times a non pubblicare le accuse, non credevo, e continuo a non credere, che ciò sarebbe stato contrario agli interessi del Time - afferma Boies al New Yorker - In generale, non credo che sia opportuno cercare di fare pressione sui giornalisti e se ciò fosse accaduto in questo caso, non sarebbe stato appropriato".
Harvey Weinstain è finito al centro di uno scandalo dopo che a inizio ottobre molte donne iniziarono a raccontare ai giornali le molestie - e in molti casi le vere e proprie violenze - subite dal produttore di New York, una casistica che si dipana nell'arco di oltre vent'anni e che nel versante italiano ha visto tra le vittime l'attrice Asia Argento.
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