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«Se la Ue resterà in silenzio sull’Iran i ragazzi spariranno nelle carceri»

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

L’Italia e l’Europa possono fare qualcosa di concreto per gli iraniani: difendere i manifestanti arrestati e i loro avvocati, dice da Teheran Nasrin Sotoudeh al Corriere. «Penso che l’Europa e l’Italia abbiano adottato un approccio formale corretto: hanno sospeso i viaggi di alcuni leader europei in Iran, e la lettera ufficiale di protesta dell’Ue era buona. Ma per gli avvocati è quasi impossibile rappresentare i manifestanti nei Tribunali rivoluzionari, il che contribuisce alla loro situazione preoccupante. Speriamo che questo venga discusso, come pure la liberazione incondizionata dei legali detenuti e la fine delle pressioni e dei processi contro di loro».

Nasrin Sotoudeh è una dei pochi avvocati rimasti in Iran a difendere i diritti umani, nonostante sia stata in carcere per tre anni per aver fatto il suo lavoro, rappresentando dissidenti e attivisti. Graziata nel 2013, solo dopo un lungo sit-in ha ottenuto di tornare a praticare legge. Ora con cinque colleghi (Shirin Ebadi, Abdolkarim Lahiji, Mohammad Olyaeifard dall’estero; Mohammad Seifzadeh e Mahmoud Esfahani in patria), Sotoudeh ha pubblicato un comunicato per rivendicare il diritto sancito dalla Costituzione iraniana alle proteste pacifiche: politici sia conservatori che riformisti le hanno definite illegali, ma per legge non è necessario alcun permesso. Chiede anche l’immediata liberazione dei manifestanti e l’arresto di chi ha ordinato la repressione.

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Le donne in Iran prima del 1979

Quali sono le vostre maggiori preoccupazioni riguardo alle proteste?

«Date le esperienze avute in passato con le operazioni di intelligence e di sicurezza, siamo preoccupati per il trattamento dei manifestanti: saranno processati nei Tribunali rivoluzionari e rischiano pesanti condanne. Otto anni fa i servizi segreti reagirono alle proteste con estrema durezza. Ci sono persone ancora in prigione da allora, tra cui il mio collega Abdolfattah Soltani, condannato a 10 anni e da 7 in carcere solo per aver svolto il suo lavoro di avvocato. La nostra più grande preoccupazione è che i diritti dei manifestanti vengano calpestati, usando violenza contro le proteste pacifiche ed emettendo sentenze durissime».

Lei difenderà in tribunale alcuni degli arrestati?

«Se me lo chiedono dovrò affidarli ai miei colleghi, perché se presentano me come avvocato verranno minacciati e le loro chance durante il processo peggioreranno. I Tribunali Rivoluzionari dicono agli imputati che prendere un legale nuocerà alla loro situazione e che invece se si affidano alle autorità tutto andrà bene: lieti di queste promesse, spesso non scelgono un avvocato difensore».

Rouhani aveva promesso di aiutare i prigionieri politici. Oggi però come nel 2009 ci sono arresti di massa e il rischio della pena di morte. Cosa è cambiato?

«La situazione dei Tribunali rivoluzionari non è cambiata dal 2009, anzi in alcuni casi è peggiorata. Molti avvocati vengono sconfitti in aula; la settimana scorsa hanno detto a un mio collega che non poteva rappresentare l’imputato; i legali sono sempre più esposti a minacce, alcune delle quali vengono messe in atto. Il Centro dei difensori dei diritti umani, la più importante fondazione in difesa dei manifestanti, è stato chiuso: il suo capo (Shirin Ebadi, ndr) ha dovuto lasciare il Paese e tutti i membri sono in prigione o da poco liberati. Parlare di giustizia in assenza di avvocati indipendenti non ha senso».

È vero che queste proteste coinvolgono soprattutto i poveri? Sono state violente?

«È da tempo che la gente soffre per problemi economici. Ogni giorno vediamo lavoratori minorenni nelle strade, donne e giovani senza mezzi di sostentamento, vediamo la corruzione economica e giudiziaria. Tutti questi problemi hanno reso la situazione soffocante, spingendo il popolo a protestare. Pensiamo a istituzioni finanziarie come la Caspian che hanno perso tutti i risparmi della gente. L’evidente ondata di ingiustizie ha ferito la coscienza pubblica. Le storie delle prigioni negli anni ’80 e l’uccisione di dissidenti, l’apartheid verso le minoranze religiose non musulmane, i diritti delle donne (in particolare l’obbligo e le difficoltà legate alll’hijab), i diritti dei lavoratori non pagati, le violenze contro gli studenti nel 1999 e nel 2009: tutto questo era fuoco sotto la cenere, e si è riacceso partendo dai più deboli nella società. Le manifestazioni in generale sono state pacifiche, anche se ci sono stati episodi violenti. È nostro dovere chiedere a tutti di agire nel rispetto della legge».

(Ha collaborato Sabri Najafi)

7 gennaio 2018 (modifica il 7 gennaio 2018 | 22:01)

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