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si riaccendano i proiettori — L'Indro

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Il 18 aprile di quest’anno è stata una data storica per l’industria culturale saudita: è stata riaperta la prima sala cinematografica sul territorio dell’Arabia Saudita a 35 anni dalla chiusura, voluta per intervento della monarchia. Dopo decenni di buio, le luci dei cinema si sono riaccese e consentiranno ai sudditi sauditi, nei prossimi tempi, di poter recarsi nelle sale e gustarsi i film di tutto il mondo.

Questa svolta, per così dire, ‘pop’ dell’Arabia Saudita va però incasellata all’interno di quel mastodontico progetto di rinnovamento che prende il nome di ‘Vision2030’. Fortemente voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman, il progetto prevede una vasta serie di riforme che mirano a ristrutturare e a portare al passo con i tempi il potentissimo Regno del Golfo Arabo, per renderlo più vicino ai grandi partner commerciali e finanziari, in particolar gli Stati Uniti, e per ridurre la dipendenza del Regno dal petrolio. Qualche tempo fa, ad esempio, è uscita la notizia della collaborazione fra il colosso petrolifero saudita Aramco e il gigante dell’informatica Google, per la creazione di un hub tecnologico in territorio saudita, e anche la riapertura delle sale cinematografiche in Arabia va in questa direzione. Il Public Investment Fund (PIF) dell’Arabia Saudita ha infatti annunciato che la propria sussidiaria ‘Development and Investment Entertainment Company’ ha sottoscritto un accordo con AMC che concede alla nota catena di sale cinematografiche di aprire circa 30-40 cinema su territorio saudita nei prossimi cinque anni, che diventeranno un centinaio per la fatidica data del 2030. Il PIF ha, in questo senso, un ruolo fondamentale di coordinamento delle varie attività e dei vari progetti di ‘Vision2030’.

Non si tratta semplicemente di una questione di infrastrutture: nei progetti dell’Arabia Saudita c’è quello di aumentare il peso del settore ‘entertainment’ all’interno dell’economia saudita e AMC è il partner ideale per portare gli investimenti nell’industria cinematografica del Regno a un miliardo di dollari, con l’obiettivo di andare a occupare il 50% del mercato locale, in competizione con i distributori locali (soprattutto dei vicini Emirati Arabi). AMC è infatti fra i più grandi distributori e operatori nel settore delle sale cinematografiche e chissà che, nella conclusione dell’accordo, non abbia influito il fatto che i proprietari della compagnia americana siano i cinesi di Dalian Wanda Group, intrecciando, in questo modo, rapporti anche con la Repubblica Popolare Cinese.

E gli investimenti nel cinema non è l’unico ambito interessato alla nuova aria che si respira attorno al settore dell’entertainment. Tramite i suoi portavoce, il Regno ha annunciato investimenti complessivi per 64 miliardi di dollari in questa industria, con risultati evidenti già a partire dal 2020: solo per il prossimo anno sono in programma oltre 5000 eventi, mentre alcuni, come il ComiCon (convention mondiale sui fumetti, serie tv, film e molto altro) o concerti di musica elettronica, hanno già avuto luogo negli scorsi mesi. Già l’anno scorso, d’altronde, l’Arabia Saudita era stata sede di oltre 2000 eventi, con tanto di 100 mila volontari coinvolti. Il segnale che l’Arabia Saudita voglia diventare una potenza di tutto rispetto anche in questo ambito è sottolineato da un dato: il 10% dei biglietti degli eventi sauditi è stato comprato da emiratini, specialmente dal Bahrain. È la prima volta che il flusso turistico cambia direzione (il che è un’altra buona notizia per il regno saudita, che vede i soldi destinati per l’intrattenimento spesi all’interno dei propri confini).

Questo vasto progetto di rinnovamento si innesta su una situazione dell’industria cinematografica saudita piuttosto carente, che ha risentito dei 35 anni di chiusura delle sale cinematografiche e della scarsità di interesse del regime saudita per la nona arte. Abbiamo parlato di questo con Aldo Nicosia, professore di Letteratura Araba presso l’Università di Bari e grande esperto di cinema arabo. “La riapertura dopo 35 anni dalla chiusura delle sale in tutto il regno mi sembra sia un segnale molto importante” spiega il professore. “È, in questa direzione, una scelta demagogica, visto che il Regno sta attraversando un momento molto delicato sul piano della stabilità interna, economica e sociale. È una mossa intelligente del principe ereditario, anche per accontentare gli occidentali, visto che l’Arabia Saudita è vista dall’Occidente come il peggior esempio dal punto di vista dei diritti, a partire da quelli delle donne, ad esempio”. Ma, se la riapertura dei cinema è un’ottima notizia dal punto di vista dell’immagine, spiega Nicosia: “non basta fare le sale per fare politica culturale, per creare una cultura cinematografica in Arabia Saudita: ci vogliono le scuole, i finanziamenti alle produzioni cinematografiche. In questi anni, pur senza sale, l’Arabia Saudita ha prodotto qualcosa, ma non si può parlare di cinema saudita organicamente inteso, ma di film sauditi. Il problema rimane: non bastano le sale per produrre cinematografia”.

Andando più addentro alla questione, il professor Nicosia ci spiega quale sia l’attuale situazione delle produzioni cinematografiche saudite: “Ci sono pochissimi registi sauditi: ‘Wajda’, ‘La bicicletta verde’, è un film che ha avuto molto successo anche in Occidente e proiettato anche in Italia, è stato girato da Hayfa’ Mansur, una regista che si è formata a Sidney. Ci vorranno anni prima che si possa parlare di cinema veramente saudita, non solo dal punto di vista degli investimenti, ma anche nelle sue componenti creative: al momento, si può parlare di registi di nazionalità saudita, ma non c’è un movimento organico che li colleghi, tanto che si sono formati in Occidente. L’apertura delle sale cinematografiche servirà, probabilmente a questo”. Una scarsa propensione all’arte cinematografica legata anche alla particolare interpretazione dell’Islam in Arabia Saudita:fra i temi preponderanti dei film odierni abbiamo i diritti delle donne, tanto che le registe sono state accusate in patria di essere blasfeme, iconoclaste, come ci si poteva aspettare in un Paese wahabita. L’Islam promosso dall’Arabia Saudita ha una lettura molto radicale, tanto che lo stesso Regno finanzia i gruppi più conservatori, più retrivi, più oscurantisti del mondo arabo, come documentato”.

A ben vedere, il cinema fatto da persone di nazionalità saudita è, nelle tematiche e nei mezzi, tipicamente occidentale e all’Occidente strizza l’occhio: “Se fossero rimasti in Arabia, i registi sauditi probabilmente non avrebbero neanche imparato a girare un corto. Quando si proietta un film che parla di diritti negati, l’Occidente si esalta, perché vede alimentato il proprio senso di superiorità, al di là dell’interesse genuino per la condizione delle donne saudite, che sono in una situazione molto dura, ma perlomeno economicamente stanno bene, a differenza delle donne yemenite, bombardate dai sauditi (e che non possono andare al cinema pur avendoli)”. Ecco che la cultura si intreccia con le pressanti questioni geopolitiche. Sempre Nicosia ci ricorda che: “La condizione delle donne è ostaggio di un regime foraggiato dall’Occidente, che compra armi anche dall’Italia per bombardare lo Yemen, che ha stretti interessi con gli Stati Uniti, che di recente intrattiene rapporti anche con Israele… Se si volesse fare un favore alle donne saudite, probabilmente andrebbe spezzato questo legame fra occidente e Arabia. I Paesi occidentali sono complici dell’Arabia Saudita, che hanno avuto l’intelligenza di accaparrarsi tutti i mezzi di comunicazione panarabi. Questi vengono sfruttati per propagandare questo ‘cambiamento di volto’ del regime saudita, che si vede nei festival della letteratura pur senza avere una produzione letteraria di livello, per esempio. Vuole darsi una sverniciata di nuovo, ma rimane il Paese che finanzia gruppi terroristici”.

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