Stampa

Le Azzurre si qualificano dopo 19 anni ai Mondiali

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Forse adesso la smetteranno di dire l’'Italia è fuori dai Mondiali'. Perché dalla sera dell’ 8 giugno non è più così. L’Italia, ai Mondiali, ci andrà eccome grazie alle Azzurre che vincendo contro il Portogallo hanno staccato, in anticipo e da prime del girone, il biglietto per Francia 2019. Non è un risultato di solo prestigio agonistico e sportivo. È un capolavoro che corona 20 anni di battaglie per i diritti delle donne, perché il calcio femminile, ben prima dei soldi, chiede banalmente lo stesso rispetto del calcio praticato dagli uomini. Sì, non mi piace parlare di 'calcio maschile'. Il calcio è uno. Le discipline sportive non hanno genere. Sono semplicemente praticate dai due sessi.

DAGLI ANNI '80 A OGGI: QUALCOSA È CAMBIATO?

A fine partita, le lacrime di Elide Martini, amatissima dirigente del calcio italiano, da sempre al seguito della Nazionale femminile, sono state commozione pura per tante di noi che per i diritti di queste atlete combattono da sempre. Elide ne ha proprio viste (e forse sopportate) di tutti i colori. Io me la ricordo quando veniva a vedere il glorioso Trani, squadra formidabile che negli Anni ’80 aveva Carolina Morace che incantava il pubblico e vinceva tutto. Non c’era solo Carolina in quegli anni: tra le eroiche pioniere di questa disciplina c’era chi, pur di non smettere di giocare, si era fatta cacciare di casa. Altre sopportavano insulti e offese che io stessa sentivo con le mie orecchie quando andavo ad ammirarle. Altri tempi, direte. No, proprio per niente. La pressione becera che viene fatta oggi dagli stereotipi non è meno potente di allora. L’unica differenza è che oggi le donne non accettano più simili offese e finalmente qualcuno dà loro ragione. Lo testimonia il fatto che circa due anni fa l’allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, in una riunione ufficiale (mica al bar) apostrofava il movimento femminile come «quelle quattro lesbiche». I vertici federali nonostante l’uscita vergognosa non riuscirono nemmeno a farlo dimettere: fu però sfiduciato dal suo consiglio, dopo le proteste delle calciatrici e dopo che Assist, con un tweet rimbalzato da Martina Navratilova e dalla BBC International, portò il caso all’attenzione del mondo. I giornali di Islanda, Sud Africa, USA, Germania, Francia, Norvegia, Svezia e altri ancora titolarono: «Alto dirigente del calcio italiano apostrofa come 4 lesbiche le giocatrici italiane». E non parlo nemmeno di secoli fa, se vi racconto che alla Finale di Coppa Italia del 2016, le calciatrici si ritrovarono in un campo senza l’erba tagliata e tra un tempo e l’altro hanno dovuto ridisegnare le righe del campo.

ATLETE CONSIDERATE 'UNA LOBBY GAY'

Il punto quindi, non parte dai soldi, dal business, dal seguito, dalle tv. Parte innanzitutto da una cultura che vuole venderci come un male ineluttabile che le calciatrici siano una minoranza fastidiosa, le ‘diverse’ che ‘si sono messe in testa di fare uno sport da maschi’, una «lobby gay» (manco lesbica..) come tuonava un presidente della serie A femminile. Parte tutto da quella cultura che trovò normale che Patrizia Panico, altra meravigliosa calciatrice e oggi prima allenatrice delle Nazionali della FIGC ad allenare una nazionale giovanile maschile, rinunciasse nel 2000 ad un contratto negli Stati Uniti perché, essendo dilettante, doveva essere ‘venduta’ con il suo cartellino, cosa inconcepibile per il professionismo americano. Oggi, al di là di questa vittoria meravigliosa, frutto di programmazione e ostinazione di un gruppo magistralmente guidato da Milena Bertolini, le cose – mi spiace dirlo - non sono poi così cambiate. Qualche risultato in fatto di immagine e di aumento di tesserate (per ora 25 mila circa contro il milione di tesserati del movimento maschile) c’è stato grazie all’obbligo per le squadre di Serie A di avere un team femminile. Lo ha ricordato con orgoglio il Commissario Federcalcio, Roberto Fabbricini, a seguito della vittoria delle Azzurre. Ma non basta. Una qualificazione mondiale è forse il migliore degli assist per andare a fondo a questioni che, senza mezzi termini, sono discriminatorie (con buona pace di qualche altissimo dirigente sportivo che «non vuole» si parli pubblicamente di sperequazioni…). Vediamole allora queste situazioni, vicende non a tutti note e per cui l’Associazione Nazionale Atlete si batte da sempre (e a cui si sono accodati, meglio tardi che mai, altri).

DILETTANTI PER LEGGE

Delle 11 atlete che hanno portato l’Italia al Mondiale alcune non praticano il calcio come unica attività lavorativa, altre invece non possono far altro che le calciatrici per ragioni di impegno e distanze. In entrambi i casi, il presente e il futuro sono uguali: per lo Stato italiano si tratta di dilettanti. Non possono, quindi, accedere a una Legge dello Stato (la 91 del 1981 sul professionismo sportivo, appunto) con la quale avrebbero un contratto di lavoro tutelato, contributi previdenziali, tutela della maternità, adeguata tutela infortunistica. Oltre a non avere tutto questo e a rientrare quindi nella categoria ‘amateur’, come dicono in Europa, le calciatrici devono anche subire la beffa di avere un tetto massimo per i loro compensi (circa 25 mila euro). Una cosa che se non fosse vera potrebbe farci piegare in due dalle risate. La politica sportiva non è mai stata in grado di mettere un limite ai compensi dei calciatori, tra cui c’è chi prende anche 20-30 milioni di euro all’anno, e invece è riuscita a imporne uno ai compensi delle calciatrici dilettanti (tetto toccato peraltro solo da rare eccezioni). Non siamo un Paese stupefacente?

CANALI DI SERIE A E DI SERIE B

E ancora: le squadre di serie A e la Nazionale hanno faticato e ancora faticano ad avere una giusta visibilità sulle reti del servizio pubblico. Esempio emblematico lapartita dell'8 giugno: divertente, emozionante, una bella partita anche da punto di vista tecnico. Di sicuro più entusiasmante delle noiosissime amichevoli che ci sorbiamo sistematicamente con gli Azzurri. Per quale ragione non si è trovato il modo di mandare questa partita su una delle tre reti ammiraglie RAI e non solo su Rai Sport? La risposta? Secondo me, volontà inesistente, incapacità di vedere una potenzialità sotto gli occhi di tutti. E perché, chiederete voi? Perché sono donne. Anzi, perché sono donne che fanno uno sport considerato maschile. Quindi, a loro non si dà quella chance di crescita che in tutto il mondo ha portato risultati eccezionali, in termini di pubblico e di share.

PENSARE (E REALIZZARE) INTERVENTI CONCRETI

Un’altra delle questioni leggermente migliorate, ma ancora ai minimi termini, riguarda gli investimenti della Federazione Giuoco Calcio per il movimento femminile. La UEFA sono anni che non solo lo chiede, ma manda soldi (centinaia di migliaia di euro) perché la nostra FIGC si dia da fare. Qualcosa in più si sta facendo, è vero, ma secondo me ancora in maniera del tutto insufficiente. Basti considerare come si stia tartando a rimettere il Campionato di serie A di nuovo sotto l’egida della Federazione, invece che della Lega Nazionale Dilettanti. Lega che due settimane fa ha organizzato la cerimonia della vittoria dello Scudetto della Juventus femminile come una premiazione in parrocchia. Anzi, no, in parrocchia le organizzano molto meglio. Perché, mi chiedo, non sfruttare il ruolo e l’agilità politica di un Commissario per cambiare la storia e investire sulle donne, magari arricchendo lo Statuto federale con politiche precise di azione?

Fonte (click per aprire)

Aggiungi commento

I commenti sono soggetti a moderazione prima di essere pubblicati; è altrimenti possibile avere la pubblicazione immediata dei propri commenti registrandosi ed effettuando il login.


Codice di sicurezza
Aggiorna