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Gravidanza, i diritti dei lavoratori dipendenti

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

La gravidanza, lungi dall’essere una condizione patologica, è una fase che richiede particolari attenzioni, soprattutto nei confronti delle lavoratrici. Ecco i diritti dei lavoratori dipendenti in gravidanza.

La gravidanza è un periodo delicato nella vita della donna che soprattutto negli ultimi mesi può mettere a dura prova anche il corpo. Proprio per questo la normativa tutela in modo dettagliato tutto il periodo della gestazione e i primi mesi successivi all’entrata del bambino in famiglia. In gravidanza i diritti dei lavoratori dipendenti trovano fondamento in diverse fonti . In primo luogo vi è la Costituzione [1], seguono diversi testi normativi come il decreto legislativo 151 del 2001. Deve essere fin da ora sottolineato che questi diritti si applicano anche nel caso di figli adottivi o in affidamento.

La donna in gravidanza può assentarsi dal lavoro per esami medici?

Nel periodo della gravidanza è del tutto normale che siano calendarizzati esami per monitorare la salute del bambino e della donna. Gli stessi non sempre sono conciliabili con gli orari di lavoro, ecco perché il legislatore riconosce alla donna il diritto ad avere permessi retribuiti per sottoporsi ad esami pre-natali o visite specialistiche che debbano essere eseguiti nell’orario di lavoro[2]. Ad esempio vi sono esami che devono essere eseguiti per forza nelle prime ore del mattino e di conseguenza chi ha il turno di lavoro al mattino ha diritto ad avere il permesso. Ciò che rende questi permessi particolarmente tutelati è la previsione da parte del legislatore del diritto al retribuzione, inoltre non sono considerati permessi per malattia e sono ulteriori rispetto ai permessi normalmente riconosciuti ai lavoratori.

Se la mansione mette a rischio la salute è necessario licenziarsi?

Per la tutela la tutela della salute della donna e del nascituro il legislatore ha anche previsto il divieto di adibire la donna a mansioni che potrebbero mettere a rischio la salute della gestante e del nascituro. Di conseguenza non può essere esposta a mansioni che prevedono il sollevamento di pesi, trasporto, mansioni insalubri o in condizioni che comunque possano mettere a repentaglio la sua salute. Spetta la datore di lavoro valutare le condizioni di lavoro e l’esposizione a rischi al fine di adibire la lavoratrice a mansioni che siano consone alla sua situazione. Il legislatore prevede però anche che la lavoratrice mantenga qualifica e retribuzione. Nel caso in cui non vi siano postazioni di lavoro che possano avere lo stesso inquadramento contrattuale e trattamento economico, il datore di lavoro potrà adibire la lavoratrice a mansioni che abbiano anche in inquadramento inferiore, ma il trattamento economico non può subire modifiche. L’affidamento a tali mansioni deve essere comunicato all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente [2].

Cosa succede al rientro al lavoro dopo la gravidanza?

Terminato il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, la lavoratrice dipendente ha diritto a rientrare nel suo posto di lavoro. Deve essere precisato che deve essere collocata alle stesse mansioni, non è ammesso il demansionamento anche nel caso in cui nel frattempo la sua posizione sia stata occupata da un’altra persona. Inoltre al rientro al lavoro ha diritto alla stessa retribuzione precedente e attinente alla qualifica.

Fino a quando la lavoratrice deve lavorare?

Il primo diritto riconosciuto alle donne in gravidanza è redatto in forma di obbligo: il legislatore infatti stabilisce che la lavoratrice ha l’obbligo di astensione dal lavoro nei due mesi antecedenti la data prevista per il parto e nei tre mesi successivi al parto. La lavoratrice ha il diritto anche di posticipare l’uscita dal lavoro, in particolare può optare per il godimento dell’astensione nel mese antecedente la data presunta del parto e nei 4 mesi successivi [3]. In questo caso è però necessario che la donna presenti un certificato del medico competente che attesti l’assenza di rischi per la salute della donna e del nascituro dovuti alle mansioni di lavoro svolte. Il legislatore ha pensato alla soluzione della obbligatorietà dell’astensione per evitare che la donna potesse rinunciare a tale diritto, magari sotto pressione, mettendo a repentaglio la salute sua e del nascituro. In casi particolari, ovvero quando la donna o il nascituro abbiano dei problemi di salute, è possibile avere il diritto all’astensione dal lavoro in data antecedente rispetto a quella prevista per il congedo obbligatorio. In questo caso è però necessario produrre al datore di lavoro un certificato medico dell’ASL competente per territorio che attesti tale condizione di pericolo. Deve essere sottolineato che nel caso in cui la lavoratrice abbia contemporaneamente due rapporti di lavoro part time deve chiedere il diritto di astenersi dal lavoro ad entrambi.Per potersi astenere dal lavoro è necessario presentare entro l’inizio del periodo di astensione obbligatoria una domanda. La stessa deve essere presentata telematicamente attraverso il sito INPS, oppure attraverso patronati.

Quali sono i diritti dei lavoratori successivi al rientro al lavoro?

I diritti dei lavoratori dipendenti in gravidanza non finiscono qui perché in seguito al periodo di astensione obbligatoria è possibile usufruire per un anno del permesso di allattamento. In particolare la lavoratrice dipendente ha diritto a due pause giornaliere di un’ora ciascuna anche cumulabili. Nel caso di lavoro part time tale tempo viene dimezzato. Ad esempio la donna può scegliere di entrare un’ora dopo e uscire un’ora prima, oppure un’uscita anticipata dal lavoro di due ore. In questo caso c’è anche una particolarità, infatti, può usufruire di questo permesso anche il padre lavoratore, ma ciò solo nel caso in cui:

  • il padre sia l’unico genitore affidatario, ad esempio se la madre non lo riconosce;
  • se la madre non usufruisce di tale diritto (perché decide di rinunciarci o perché non lavoratrice);
  • nel caso in cui la madre sia impossibilitata a godere del periodo di allattamento, ad esempio per grave infermità o decesso [4].

Il permesso di allattamento spetta anche ai genitori affidatari o adottivi entro il primo anno di ingresso del bambino nel nucleo familiare.Per ottenere il riconoscimento di tale diritto il genitore che intende avvalersene non deve presentare domanda all’INPS, basta invece una richiesta scritta al datore di lavoro, mentre quest’ultimo non può rifiutare di concedere tale diritto. Se in azienda sono presenti nidi aziendali il genitore può usufruire solo di mezz’ora di stacco. Infine, se il parto è gemellare il periodo riconosciuto per l’allattamento viene raddoppiato. Nel caso in cui si intenda usufruire del permesso di allattamento non si perde la retribuzione, ma la parte corrispondente deve essere versata dall’INPS e non dal datore di lavoro.

Diritti dei lavoratori dipendenti in gravidanza: il congedo parentale?

Diverso dal permesso di allattamento è il congedo parentale, anche conosciuto come astensione facoltativa dal lavoro [5]. Anche in questo caso è bene parlare di diritti dei lavoratori dipendenti perché ad usufruirne possono essere anche i padri, il tutto nei primi 12 anni di vita del bambino. Anzi il legislatore nel tentativo di sollecitare una maggiore responsabilità dei padri, favorire la bigenitorialità e raggiungere la parità tra i sessi, ha stabilito norme di particolare favore. Il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativa dal lavoro concesso a lavoratrici e lavoratori dipendenti. Lo stesso può essere usufruito nei primi anni di vita del bambino. Sono concessi ai due genitori 10 mesi di astensione facoltativa, questi salgono a 11 se il padre ne usufruisce per almeno 3 mesi. Si tratta di un incentivo volto a favorire la parità di genere nella cura dei figli. Ciascun genitore può usufruire di un periodo massimo di congedo continuato o frazionato di 6 mesi nell’arco del primo anno di vita del bambino. Ciascun genitore può usufruire del congedo parentale anche se l’altro genitore non lavora, inoltre i due possono usufruirne anche contemporaneamente. In caso di genitore solo, ad esempio se solo uno dei due ha effettuato il riconoscimento, il congedo parentale ha la durata massima di 10 mesi.Deve essere sottolineato che attualmente è possibile usufruire del congedo parentale anche per poche ore, in questo caso però il genitore non può assentarsi per un numero di ore superiore alla metà dell’orario di lavoro giornaliero [6].Nel caso di genitori affidatari o adottivi, indipendentemente dall’età di ingresso del bambino, viene riconosciuto il diritto al congedo parentale di cui si può usufruire dall’ingresso nel nucleo familiare.

C’è diritto alla retribuzione durante il congedo parentale?

Deve essere sottolineato che, a differenza dell’astensione obbligatoria in cui vi è piena retribuzione, nel caso in cui si usufruisca del congedo parentale vi è una decurtazione della stessa. Infatti si ha diritto al 30% della media giornaliera da calcolare tenendo in considerazione l’ultima busta paga ricevuta. La retribuzione è a carico dell’INPS e non del datore di lavoro. Nel caso in cui il bambino abbia già compiuto il sesto anno di età, viene mantenuto il diritto al 30% della retribuzione solo nel caso in cui il reddito del genitore non superi di 2,5 volte il trattamento pensionistico minimo. Dall’ottavo anno del bambino si ha diritto al congedo ma non alla retribuzione. Durante il periodo in cui si beneficia del congedo parentale la contribuzione sarà figurativa.

note

[1] Art. 37 “Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.[2] Art. 7, d.lgs. 151/2001.[3] Art.14 decreto legislativo 151 del 2001.[4] Art 39 d.lgs 151 del 2001.[5] D.Lgs 151 del 2001.[6] D.Lgs 80 del 2015

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