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Il #MeToo cinese arriva in tribunale, ma l'imputata è lei

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

Una donna ha accusato un popolare presentatore televisivo cinese di molestie sessuali. Risultato: sarà lei a doversi difendere in un tribunale dalle accuse di aver diffamato la star della Cctv. Così il #MeToo cinese arriva per la prima volta in un tribunale, attraverso un procedimento bizzarro: un simbolo di come il movimento in Cina debba affrontare più difficoltà che in altri Paesi.LEGGI ANCHE : Grazie alle monache, il #MeToo in Cina affonda il leader dei buddistiLa storia è la seguente: una ragazza, già collaboratrice del presentatore tv Zhu Jun, una star in Cina - presentatore di Gran gala dai record di ascolti -, ha accusato Zhu di molestie. In un post su WeChat ha anche spiegato di come la polizia l'avesse invitata a lasciar perdere a causa della popolarità di Zhu e del suo esempio positivo per la società cinese. Il post della ragazza – nonostante le minacce subite - ha presto raggiunto una buona dose di popolarità, anche grazie al repost su Weibo di una sua amica. L'azione che ha finito per fare diventare virale la storia di Xianzi – il nickname della ragazza –, attivando la reazione del potente Zhu.Quest'ultimo ha denunciato lei, Xianzi e la sua amica chiedendo alle due donne "di scusarsi online e su un quotidiano nazionale e pagare un risarcimento di 655.000 yuan (circa 95mila dollari) e coprire i costi delle spese legali per il caso". Le due ragazze hanno quindi presentato causa civile contro Zhu per "violazione dei diritti della persona", termine ampio usato nella legislazione cinese per fare riferimento ai diritti di dignità personale, senza che siano però menzionate specificamente le molestie sessuali.La storia del #MeToo in Cina – di recente assurta agli onori delle cronache internazionali a causa della clamorosa caduta in riferimento ad abusi sessuali del numero uno del buddismo nazionale – è complicata e si scontra con le caratteristiche della società cinese, con le problematiche legate al fatto che non esiste una legislazione chiara al riguardo e con la censura.I post su Weibo o su altri social nei quali vengono denunciati casi di molestie sessuali, spesso vengono censurati nel momento in cui ottengono una maggior visibilità. Il senso della censura è sempre lo stesso: evitare che possano scatenarsi fenomeni in grado di urtare il mantenimento della stabilità. Ma la sensazione è che la ritrosia del Partito comunista nei confronti del #MeToo sia dovuto al rischio che, prima o poi, a finire sotto la lente delle denunce delle donne cinesi possa esserci qualche funzionario, mettendo così a repentaglio l'intensa attività di Xi Jinping per riportare il partito al centro della vita sociale, quale elemento trainante e "specchiato".A questo proposito interviene il professor Fu King-wa, a capo di Weiboscope, osservatore sulla censura cinese del Centro di giornalismo dell'Università di Hong Kong: «Abbiamo analizzato una dozzina di donne cinesi che si sono fatte avanti su Weibo con accuse di violenza sessuale. In molti casi, c'era un legame evidente tra la censura online e la forte reazione del pubblico alle denunce di #MeToo. Il censore cinese è più probabile che intervenga quando un'accusa personale incontra una larga scala di reazioni online e quando i messaggi potenzialmente minacciano l'ordine politico, sociale e morale del Paese».Per quanto riguarda il caso di Xianzi, come ha riportato la Bbc, "senza altri testimoni o accuse contro Zhu Jun" il caso è chiaramente basato sul confronto tra la parola di Xianzi e quella di Zhu. Ma "si tratta di fare un punto in un ambito pubblico in Cina, dove #MeToo non ha fatto progressi significativi come movimento". Xianzi ha detto alla Bbc che non cambierà la sua posizione: «Non voglio che la società si aspetti che la vittima perfetta non commetta errori e non chieda compensi. Molte persone chiedono alle vittime di #MeToo perché non facciano immediatamente un rapporto alla polizia: sono io che ho fatto rapporto alla polizia quattro anni fa e non ho ricevuto alcuna giustizia».E proprio sulla giustizia e sulla legislazione si gioca la possibilità per il movimento #MeToo cinese di ottenere risultati in grado di influenzare la società. La giornalista di Al Jazeera Katrina Yu, raccontando alcuni casi di molestie denunciati di recente, ha specificato che «nel Paese manca una definizione legale di molestie sessuali, nonché leggi per trattare questi casi. Ma ci sono segnali che questo sta cambiando».Intanto: in Cina non esiste il riconoscimento di molestie sessuali sui luoghi di lavoro, per questo in molti casi queste denunce sono trattate al pari di controversie di lavoro. Entro il 2020, però, la Cina dovrebbe rendere ufficiale, con il voto dell'Assemblea nazionale, una bozza di legislazione che, per la prima volta, porrà l'accento proprio sulle molestie sessuali e renderà i datori di lavoro responsabili per la sua prevenzione. Questa legge «incoraggerebbe le persone ad andare in tribunale e difendere i loro diritti», ha detto a Katrina Yu Feng Yuan, una ex giornalista che lavora come sostenitrice delle vittime di violenza sessuale a Pechino. Feng ha sottolineato le difficoltà di un movimento che, nonostante le tante denunce sui social, fatica a trovare giustizia: «È tutto lento e difficile: ci sono sempre più vittime in piedi che denunciano casi ma le indagini sono spesso lente e opache, i risultati vengono spesso messi a tacere».Analogo giudizio sulla mancanza di una legislazione in grado di proteggere le donne che denunciano gli abusi sessuali è arrivato da un'organizzazione no-profit di Pechino, la Beijing Yuanzhong Gender Development Center: «La mancanza di una chiara definizione di molestie sessuali o di uno standard concordato per affrontare i reclami, consolida una cultura del silenzio».@simopieranni ARTICOLI CORRELATIimageLa Russia flette i muscoli con la madre di tutti i wargame imageIl Partito è l'unica Chiesa, e Xi vara una nuova stretta sulle religioniimageLa minaccia per Xi arriva dai lavoratori, non dagli intellettuali
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