«Le donne non dovrebbero ridere in pubblico»
Lunedì 28 luglio, durante la festa di Eid al-Fitr – una delle più importanti del mondo islamico, che segna la fine del Ramadan – il vice-primo ministro turco Bülent Arinç (del partito al governo AKP, conservatore e di ispirazione islamica) ha tenuto un discorso sulla regressione morale che sarebbe in corso in Turchia. Arinç ha condannato il consumismo, chi ha troppe macchine per esempio, e ha accusato la televisione e i media in generale di trasformare gli adolescenti in “drogati del sesso”. E naturalmente ha parlato di donne:
«Dove sono le nostre ragazze, che arrossiscono, abbassano la testa e volgono lo sguardo lontano, quando guardiamo il loro viso, diventando un simbolo di castità? (…) La castità è molto importante. Non è solo una parola, si tratta di un ornamento [per le donne]. Una donna dovrebbe essere casta. Dovrebbe conoscere la differenza tra pubblico e privato. E non dovrebbe ridere in pubblico».
Dopo queste dichiarazioni, migliaia di donne, non solo turche, hanno pubblicato su Twitter molte foto che le ritraggono mentre ridono, con l’hashtag #direnkahkaha (resistere ridere) e #direnkadin (resistere donna).
La Turchia è storicamente considerato uno dei paesi più progressisti in materia di diritti di genere dell’area mediorientale. Alcuni sviluppi recenti, tuttavia, sembrano non confermare più questa percezione. Da una recente ricerca fatta su un campione di 60 mila donne e condotta dalla Kamer, una ONG che si occupa di diritti delle donne in Turchia, risulta che la percentuale di matrimoni fra minori è del 33 per cento. Negli ultimi 10 anni, inoltre, almeno 4711 donne si sono sposate a 16 e 17 anni, 2217 fra 13 e 15, 54 sotto i 12 anni. Inoltre, in Turchia più del 40 per cento della popolazione femminile ha subito violenza domestica, e si sono verificati più di 120 casi di femicidio dall’inizio di quest’anno.
In diverse occasioni il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan ha detto di non credere nella parità tra uomini e donne e ha cercato di modificare in senso restrittivo la legge sull’aborto (che in Turchia è consentito fino a 10 settimane). Mehtap Dogan, donna che milita in un collettivo femminista turco, ha spiegato che le dichiarazioni di Bülent Arinç non sono un caso isolato di misoginia: «Le sue parole illustrano perfettamente l’atteggiamento del suo partito verso le donne. Ai loro occhi, le donne non dovrebbero avere alcun diritto. Con il moralismo dietro cui si nascondono, difendono in realtà la violenza, lo stupro, e il sessismo».