Donne contro l'Isis e i fondamentalismi
LONDRA - Le bandiere nere dello «Stato islamico» dominano le cronache, ma sono solo l'ultima sfida. «Viviamo in un'epoca segnata dalla crescita di forze fondamentaliste, e però la religione non c'entra», dichiara la sociologa algerina Marieme Hélie-Lucas: «Parlerei piuttosto di destra religiosa: movimenti politici portatori di ideologie fondamentaliste e teocratiche, che usano la religione per la propria egemonia politica».
Hélie-Lucas parla dalla tribuna di una conferenza dal titolo insolito: «Destra religiosa, laicità e diritti civili», organizzata a Londra nel finesettimana da una rete di attiviste per i diritti delle donne. Non che sia insolito parlare di fondamentalismo, al contrario: più raro però è sentire voci provenienti da paesi non occidentali rivendicare idee di laicità e cittadinanza universale. Le promotrici animano gruppi come “Secularism is a women's issue”, la laicità è un affare delle donne, o “Women living under muslim laws”, donne che vivono sotto leggi musulmane, rete che ha una lunga storia di battaglie femministe dal Senegal al Pakistan passando per tutto il mondo arabo.
Oppure “One law for all”, una legge per tutti, gruppo che si batte perché i sistemi legali restino unitari: ovvero contro quegli stati che pensano di compiacere le minoranze immigrate applicando loro i codici religiosi, per esempio nell'istruzione o nel diritto di famiglia, come succede ormai in Canada o nel Regno unito («così le appartenenze identitarie prendono il posto della cittadinanza», accusa Hélie-Lucas). Temi abbastanza controversi da suggerire alle autorità speciali misure di sicurezza: l'hotel nel centro di Londra che ospitava i lavori ha ricevuto serie minacce.
«I diritti di cittadinanza universali, indipendenti dalle appartenenze religiose o etniche, non sono un concetto occidentale», rivendica Hélie-Lucas, che di questa conferenza è la promotrice insieme alla britannico-iraniana Maryam Namazie. Parla di «alternative laiche e democratiche» alle derive fondamentaliste. «E non si tratta solo di fondamentalismo islamico, anche se è quello più visibile: rifiutiamo tutti gli aspetti della politica identitaria», aggiunge Gita Sahgal, scrittrice e attivista per i diritti umani nata in India: infatti qui si discute la destra religiosa ebraica e quella cristiana, l'odio intercomunitario fomentato dalla destra hindù in India, le pulizie etniche perpetrate da ultras buddhisti in Sri Lanka e in Myanmar («tutte forze profondamente anti democratiche, oltre che patriarcali e misogine»).
La deputata turca Şafak Pavey ad esempio spiega come il governo del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), una volta descritto come «musulmano moderato», sta progressivamente islamizzando il sistema educativo e altre istituzioni civili in Turchia. L'avvocata Sultana Kamal, veterana del movimento per la libertà che diede vita al Bangladesh con una costituzione laica e democratica, parla del nesso tra militari, islamizzazione e attacco alla democrazia: a Dhaka furono proprio i militari golpisti a dichiarare l'islam religione di stato e sdoganare la destra religiosa, che oggi può impunemente attaccare minoranze, donne, attivisti sociali.
Più vicino a noi, la regista tunisina Nadia El Fani mostra filmati sul confronto tra forze islamiste e attivisti democratici nelle strade di Tunisi dopo la caduta del vecchio regime: barbuti che attaccano cinema o aggrediscono dimostrazioni femministe, al grido «il potere viene da Dio»; scontri verbali in tv tra un candidato del partito islamico Enhada e una candidata femminista (lui l'accusa di non rispettare i sentimenti popolari e le norme religiose, lei ribatte: «Costituzione laica non significa abolire la libertà religiosa ma separare la religione dallo stato»).
Una strada stretta. Il nemico politico, per le promotrici di questa conferenza, è la destra religiosa. Poiché vengono per lo più da paesi musulmani, il fondamentalismo islamico è il nemico numero uno. Ma non vogliono essere usate per giustificare soluzioni militari né campagne di odio. «Non vogliamo legittimare il clima di xenofobia dilagante, le campagne anti immigrati, la discriminazione verso i musulmani in Europa e negli Stati Uniti», dice Pragna Patel, avvocata e fondatrice della Southall Black Sisters a Londra, che qui denuncia una «sharia-izzazione progressiva» del sistema legale britannico. «L'accesso alla giustizia è in crisi», spiega, anche a causa dei tagli alla spesa: «E la cosa più facile è delegare a istituzioni religiose parte dei servizi della giustizia civile». Così sta sorgendo un sistema legale parallelo: «In nome di un malinteso multiculturalismo, lo stato dà potere e legittimità a leader religiosi che si auto-eleggono rappresentanti delle comunità. In effetti i forum di arbitraggio religiosi sono terribilmente conservatori: con il beneplacito dello stato, le voci di cambiamento all'interno di ciascuna comunità sono zittite», protesta Patel.
Così, mentre molti si interrogano sull'attrazione che esercitano le bandiere nere dell'Isis presso tanti giovani musulmani (anche europei), ecco una rete di attiviste venute da nord Africa, Medio Oriente, Asia meridionale, per insistere sui principi di democrazia e cittadinanza universale e approvare un «Manifesto per la laicità». Sperano di avviare una rete di iniziative comuni. «Continueremo a camminare su quella linea sottile che separa razzismo e xenofobia dalla denuncia della destra religiosa; continueremo a combattere l'imperialismo senza dare credito ai movimenti fondamentalisti», conclude Hélie-Lucas.