Nasrin e i diritti delle donne iraniane Bandita dai tribunali, le difende in piazza
Da una settimana, dalle 9 a mezzogiorno, Nasrin Sotoudeh protesta davanti all’Ordine degli avvocati di Teheran, in compagnia di una dozzina di colleghi. Il sit-in è iniziato dopo che la nota avvocata, una delle poche impegnate in casi d’alto profilo sui diritti umani e politici in Iran, si è vista bandire dalla professione per i prossimi tre anni. Ricevuta la notizia, non ha presentato appello, ma è scesa in piazza. E poi l’altro ieri ha aperto un profilo Facebook dove parlerà — ha annunciato — di giustizia.
«E’ la prima volta in Iran che un avvocato viene sospeso dal suo lavoro perché i suoi clienti erano imputati politici», dice Sotoudeh in un’intervista via email con il Corriere. «Mai, né prima né dopo la rivoluzione, l’ordine degli avvocati aveva emesso una sentenza simile. La persecuzione degli avvocati indipendenti è sempre esistita, ma l’Ordine aveva sempre resistito davanti alle pressioni».
Dopo aver rappresentato minorenni nel braccio della morte, attivisti studenteschi, curdi, del movimento operaio, detenuti di religione bahai, e anche il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, nel 2010 Sotoudeh è stata arrestata e nel 2011 condannata (in appello) a 6 anni di carcere e 10 di sospensione dalla professione per «azioni contro la sicurezza nazionale e propaganda contro il regime». Una sentenza che ha sollevato proteste in tutto il mondo, tanto che mentre era in carcere il Parlamento europeo le ha conferito il premio Sacharov per la libertà di pensiero. Nel 2013 il presidente Rouhani l’ha graziata alla vigilia del suo primo discorso all’Onu.
«Riguardo al perdono, dovete sapere che non era una mia richiesta — osserva lei —. Mi hanno rilasciata senza spiegazioni, così come mi avevano arrestata senza motivi accettabili». Ora però sospendendola, l’Ordine degli avvocati ha ceduto a pressioni che, in un’intervista al blog IranWire, lei ha attribuito al procuratore e all’intelligence.
Il sit-in va al di là del caso personale. E’ un appello all’indipendenza della giustizia in Iran, al diritto dei dissidenti a lavorare e ad avere processi equi. Ha anche partecipato alle proteste contro gli attacchi con l’acido che questo mese hanno sfigurato o accecato sette o otto ragazze (secondo la polizia) a Isfahan. Al fianco di Nasrin, sono scese in strada due donne vittime di attacchi con l’acido avvenuti in passato tra le mura domestiche: Masoumeh e Somayeh, sfregiate dai mariti — quest’ultima (nella foto) mentre allattava la figlia, che oggi ha 4 anni e ne porta i segni sul volto.
Anche le autorità hanno condannato i casi di Isfahan: Rouhani promette di punire i responsabili con la forca, la sua vice Masoumeh Ebtekar ha visitato una vittima in ospedale. I conservatori, come il capo della magistratura Ayatollah Sadegh Larijani e il procuratore di Teheran Dolatabadi, hanno però accusato i media locali di aver promosso «la visione del nemico» scrivendo che i responsabili erano vigilantes che volevano punire le donne «malvelate». «Sì, io penso che il motivo principale di questi attacchi con l’acido sia il velo — commenta anche Nasrin — ma non voglio occuparmi di questo. Quel che conta è che il governo ha la responsabilità di garantire la sicurezza dei cittadini. Al momento, qualsiasi sia il motivo, la sicurezza delle cittadine è in pericolo». Oltre a prendere i responsabili, suggerisce alle autorità di «vietare agli imam di fare dichiarazioni estremiste che provocano i fanatici» e «di evitare prese di posizione come l’annuncio di esecuzioni per i colpevoli: accrescerebbero la violenza». Ma sabato mentre si univa alle proteste per Isfahan, la polizia ha arrestato (per sei ore) anche lei.
(Ha collaborato Sabri Najafi)